Mese: <span>Novembre 2016</span>

A spasso con Bob – se un animale ci cambia la vita

James Bowen aveva 27 anni, era un tossicodipendente, che cercava disperatamente di disintossicarsi, ma abbandonato dal padre, e senza una casa o un lavoro, trascorreva le sue giornate per le strade di Londra, ad elemosinare soldi mentre suonava la chitarra fuori dalle fermate della metro. La sua vita era davvero miserevole, ad eccezione dell’aiuto che gli offriva una giovane assistente sociale. Ma anche lei non poteva salvarlo. James doveva salvarsi da solo, con l’aiuto di un piccolo amico rosso, Bob.

Bob è un giovane gatto tigrato che ha letteralmente scelto di vivere con James, nel suo nuovo alloggio offerto dal servizio sociale inglese, per coloro che si sottopongo ad un programma di disintossicazione dall’eroina. Bob fa irruzione nella vita di James una notte, e da quel momento non lo ha più abbandonato. Un giorno lo ha seguito nel suo viaggio verso Londra, appollaiandosi sulle sue spalle, e da quel momento la vita di James è cambiata per sempre. I video delle sue esibizioni canore in compagnia del gatto rosso sono diventate virali sui social network, alcuni giornalisti hanno scritto articoli su di lui, e nel giro di qualche mese una casa editrice gli ha proposto di scrivere un libro sulla sua incredibile avventura.

L’aspetto più interessante della storia di James e Bob, da un punto di vista psicologico, è che Bowen, grazie alla presenza costante del suo gatto rosso è riuscito a disintossicarsi. Ha sostituito la dipendenza da quella sostanza che colmava i suoi vuoti emotivi, con l’amore di un essere vivente che non lo giudicava, che non manipolava le sue emozioni, ma restava sempre al suo fianco, nei momenti migliori come in quelli peggiori.  Per i tossicodipendenti le emozioni sono pericolose, ingestibili, se non attraverso un rischioso balletto di allontanamento e avvicinamento alla sostanza a cui sono assuefatti, che sostituisce le molto più complesse e non gestibili relazioni umane, caratterizzate da ambivalenza e insostenibile dipendenza affettiva.

La pet therapy, o meglio, la terapia assistita dagli animali, è un trattamento adatto a qualsiasi persona di ogni età e provenienza sociale, che desideri migliorare la qualità della propria vita. Il principio della Pet Therapy è basato sull’utilizzo del rapporto speciale che si viene a creare tra la persona e l’animale. I contatti che si instaurano tra paziente e animale riescono a facilitare il rapporto con il terapeuta che ha in cura la persona, rendendo il contesto della cura meno stressante e minaccioso, facilitando il movimento e il dialogo. Un esempio molto importante in questo senso è stato fornito durante le terapie di sostegno a cui sono stati sottoposti i vigili del fuoco intervenuti durante gli attacchi dell’11 settembre. Grazie alla presenza degli animali, cani in quel caso, gli uomini e le donne coinvolti nelle operazioni di salvataggio riuscivano ad aprirsi e a condividere le proprie esperienze traumatiche con gli psicologi dell’emergenza. La presenza degli animali gli permetteva di non vivere quell’esperienza come qualcosa di cui vergognarsi, un tipo di trattamento non adatto a chi ha scelto di dedicare la propria vita agli altri, escludendo quindi la possibilità di poter essere colpiti personalmente dagli eventi in cui si interviene, dovendo spesso nascondere la propria fragilità e le proprie paure. (per maggior approfondimenti si rimanda all’articolo “Esperienze, attività e terapie con animali- Quattro zampe e un cuore”).

Kaminski, Pellino e Wish hanno studiato gli effetti fisici ed emotivi della pet therapy in un campione di 70 bambini ricoverati per un lungo periodo di tempo. Attraverso l’utilizzo di diversi strumenti self report e attraverso le percezioni dei genitori dei piccoli pazienti, gli autori hanno rilevato un interessante incremento della qualità della vita emotiva dei bambini, un abbassamento della frequenza cardiaca e di alcuni indici di stress cronico. In particolare la terapia mostrava interessanti effetti positivi nei contesti gruppali.

In un recente studio di Wesley, Minatrea e Watson invece è stato indagato dell’effetto della AAT nell’alleanza terapeutica con pazienti adulti ricoverati per abuso di sostanze in un contesto di terapia di gruppo. Il campione era composto da 231 pazienti, sottoposti a terapia di gruppo e individuale. In entrambi i casi i risultati hanno mostrato un miglioramento della qualità della relazione terapeutica grazie alla presenza di un cane addestrato per la pet therapy. Questa interessante ricerca dimostra che la presenza di un animale può migliorare la qualità della relazione medico paziente nel trattamento di pazienti affetti da tossicodipendenze.

Il giovane James Bowen lo ha sperimentato in prima persona. La sua incredibile storia a lieto fine, oltre ad essere raccontata in due divertenti romanzi, è stata trasformata in un film, al cinema dal 9 novembre in tutta Italia.

Dott.ssa Valeria Colasanti

Riceve su appuntamento a Roma e Villanova di Guidonia
(+39) 3488197748

James e Bob
James e Bob

 

Edward Hopper – l’artista dell’introversione

Il secondo piano di due case gemelle che sorgono sul declivio di una collina alberata, due paia di finestre, con le tende abbassate a differenti altezze, e due figure di donna, una giovane, vitale, con il corpo esposto alla luce del sole, seduta sulla balconata dell’abitazione guarda qualcosa che noi non possiamo vedere, mentre l’atra donna, matura, con i capelli grigi, fissa qualcosa davanti a sé mentre ha in mano un libro. Le due figure non comunicano, nonostante occupino lo stesso spazio, la stessa inquadratura del frame pittorico.

Guardando “Second Story Sunlight” (1960) di Edward Hopper, letteralmente “secondo piano al sole”, potrete osservare in una sola opera il manifesto pittorico ed espressivo di questo artista che ha ispirato l’arte del XX secolo in ogni sua forma ed espressione (vedi David Hockney, Alfred Hitchcock, Wim Wenders, David Lynch, Paul Thomas Anderson, Gregory Crewdson e molti altri), dalla fotografia, al cinema, alla letteratura. Il secondo piano a cui fa riferimento Hopper è un piano concettuale, simbolico, nascosto dalle architetture tradizionali americane descritte con precisione e maestria quasi metafisica dall’artista newyorkese. Il piano dell’anima, un piano intimo e celato, che abita lo spazio architettonico. Secondo Hopper infatti l’uomo e i suoi spazi architettonici sono un tutt’uno, quindi l’indagine sull’uomo, tanto cara all’artista, non può prescindere dall’architettura.

Egli non è stato solo il pittore che meglio di chiunque altro ha saputo rappresentare e restituire l’immagine del Nord America, con le sue mitologie post moderne, le sue celebri iconografie che grazie al cinema tutto il mondo ha imparato a riconoscere, ma ha saputo catturare e raccontare con le immagini gli stati d’animo dell’uomo. L’uomo nuovo, quello perso nelle grandi città e nelle metropoli, l’uomo racchiuso e rinchiuso in una stanza di un appartamento, solo, con lo sguardo rivolto verso un punto imprecisato dentro se stesso. Il confine tra introspezione e introversione nell’opera di Edward Hopper si fa sfumato, si perde nelle geometrie perfette dei suoi dipinti, e lascia trasparire quello che Jung definiva con il neologismo introversione, descritto per la prima volta nel saggio Tipi psicologici (trad. it. Newton Compton, Roma 1973), pubblicato nel 1920, e che rappresenta secondo lo psicoanalista svizzero una delle polarità del carattere umano, opposto all’estroversione. Secondo Jung uno dei due modelli domina in modo cosciente, mentre l’altro, più o meno atrofizzato, continua ad esistere per lo più nel subcosciente. L’introverso tende a guardare dentro di sé, anziché al mondo, ad organizzare la realtà dall’interno, a rappresentare il mondo secondo degli schemi soggettivi. Per lui, i sentimenti prodotti dalla realtà hanno più importanza della realtà stessa.

Eppure in Hopper il mondo esterno viene oggettivato, reso reale dalla sua sapiente capacità di ritrarlo in modo quasi fotorealistico, nelle sue geometrie perfette. L’elemento che appare più incerto, quasi fuori luogo, all’interno delle sue rappresentazioni è proprio quello umano. Un essere fragile, perso, solo, in un mondo immanente e concreto. Eppure esistente, perché come egli amava ripetere “L’opera è l’uomo. Una cosa non spunta dal nulla.” Una luce, come quella che l’artista ha sempre voluto saper rappresentare, che pare essere in attesa di esistere, di implicarsi nel mondo. Edward Hopper ha saputo infondere alla figura umana la sacralità che in genere era riservata alle figure religiose, rendendo epici quei momenti apparentemente vuoti, di attesa, di nulla, attraverso i quali si districa la nostra vita. Edward Hopper è stato per l’arte ciò che Raimond Carver è stato per la letteratura del Novecento.

Dal primo ottobre, presso il Complesso del Vittoriano, a Roma, potete visitare la mostra su Edward Hopper, con più di sessanta opere che raccontano il percorso iconografico dell’artista dagli inizi accademici fino alle opere più note e rappresentative. Una mostra intima, non la più completa ospitata a Roma, ma capace di mettervi in contatto con l’anima più intima di un artista completo e post moderno.

Dott.ssa Valeria Colasanti

Riceve su appuntamento a Roma
(+39) 348.8197748

Hopper, Edward
Hopper, Edward