Mese: <span>Gennaio 2017</span>

Arte terapia – portare equilibrio nelle dissonanze

Arteterapia

portare equilibrio nelle dissonanze psichiche

“L’arte crea una zona di vita simbolica che permette di trascendere il conflitto e di creare ordine nel caos, e infine, di dare piacere.” Edith Kramer scrisse queste parole nel 1971, ed è al suo lavoro e a quello di Margareth Naumburg che si deve la definizione teorica dell’arteterapia come metodo clinico psicologico. Secondo queste autrici i sentimenti inconsci di un individuo possono essere riconosciuti più facilmente in un immagine, che non nelle parole. In queste immagini vengono proiettate emozioni, vissuti, conflitti. Queste immagini quindi, alla stregua di materiale onirico, possono essere analizzate attraverso la cornice teorica della psicoanalisi o della psicoterapia dinamicamente orientata. Come l’interpretazione del sogno in psicoanalisi, lo svelamento dei significati inconsci rappresentati nell’opera artistica vengono esplicitati e resi quindi comprensibili a chi li ha prodotti, grazie alla comunicazione verbale tra paziente e terapeuta.

L’arteterapia crea un campo tripolare, in cui viene creato un oggetto terzo, non sempre tangibile, tramite il quale viene utilizzata la creatività per stimolare il dinamismo terapeutico, offrendo una grande flessibilità nelle modalità di intervento.

Questa tecnica permette il distanziamento necessario da ciò che viene prodotto negli incontri terapeutici, allontanandosene anche fisicamente in modo da permettere un rispecchiamento dei contenuti simbolici che vengono espressi. Gli incontri di arte terapia prevedono l’uso di materiali e tecniche artistiche per promuovere tre processi, quello dell’espressione, quello della comunicazione e quello dell’attivazione. Ognuno di essi è fondamentale per l’essere umano. I materiali che vengono utilizzati in questa tecnica sono vari e spaziano da quelli duri, come la creta da modellare, ai colori ad acquerello. Anche la scelta di un materiale ha significati simbolici profondi. Più il materiale è legato all’acqua e più avrà un aspetto regressivo importante. Anche le tecniche usate per la lavorazione dei materiali è legata a significati dinamici profondi. Ad esempio il tagliare o lo strappare un materiale esprime grande aggressività da parte del soggetto. Il metodo si articola in tre fasi: l’ingresso nel lavoro, con un aspetto pre-simbolico; la fase del lavoro, in cui si esprime l’aspetto simbolico; e la fase del “working through” in cui si elaborano i significati espressi nel lavoro creativo. Nella prima fase ci si trova in quello che viene definito lo stato del non immagine, in cui ci si affida alle percezioni sensoriali e alle esplorazioni dei materiali. In questo momento della terapia i materiali vengono utilizzati in quanto sensazioni, e si prepara la concentrazione necessaria alla fase successiva. Nella fase del lavoro viene realizzato il lavoro, permettendo l’espressione del mondo interno del paziente. Il lavoro creativo può presentarsi sotto varie forme e stati: quello del non immagine, in cui non si può o non si vuole realizzare un prodotto, passando alla funzione catartica, in cui l’immagine risponde ad una esigenza di espressione simbolica, fino allo stato espressivo, in cui essa “parla” dei contenuti inconsci di chi l’ha realizzata. Nella terza fase viene operata inizialmente una elaborazione silenziosa, attraverso un distanziamento da ciò che è stato prodotto precedentemente. Finalmente terapeuta e paziente possono elaborare a livello verbale l’esperienza creativa, condividendo impressioni e significati, potendo successivamente lavorare con l’immagine prodotta, modificandola e arrivando magari ad altre immagini, andandole ad iscrivere nel contesto della relazione terapeutica. Obiettivo di questa tecnica è facilitare l’immaginazione simbolica, ed entrare nel mondo interno esprimendolo a livello fisiologico, bypassando l’espressione verbale. La Kramer sostiene che “le virtù curative (dell’arteterapia) dipendono da quei procedimenti psicologici che si attivano nel lavoro creativo” rivolgendo, quindi, tutta la sua attenzione al processo creativo, ritenuto di per sé uno strumento terapeutico.Attraverso la sua esperienza sul campo, la Kramer si è resa consapevole del grande aiuto dell’arte sia nel disagio psichico, sia nella sofferenza esistenziale di chi vive in condizioni estreme. Tramite l’uso del colore e la manipolazione di differenti materiali è possibile portare “equilibrio nelle dissonanze psichiche e si lavora alla propria armonia interiore con le diverse forme, tonalità e gradazioni del colore e dell’anima.” (Giaume, 2002)

http://www.artiterapie-italia.it/

 

EMDR – trauma e corpo

EMDR – trauma e corpo

Nel 1987 Francine Shapiro stava passeggiando in un parco vicino la sua università, quando si rese conto che muovendo gli occhi da destra a sinistra lo stress causato da dei ricordi traumatici che erano emersi alla memoria in quel momento lo stress che provava diminuiva. Da questa brillante intuizione la dottoressa Shapiro iniziò a svolgere degli studi che condussero poi allo sviluppo dell’EMDR per come lo conosciamo oggi.

L’EMDR è stato introdotto come metodo per il trattamento del trauma nel 1989, grazie agli studi forniti dalla dottoressa Shapiro. All’epoca si chiamava soltanto Eye Movement Desensitization, e si trattava di una tecnica nata dalla teoria comportamentista, secondo la quale i movimenti oculari erano in grado di produrre una desensibilizzazione adeguata dei pazienti esposti a trauma. Gli effetti di questo trattamento erano una riduzione della paura e dell’ansia derivanti dall’evento traumatico. Successivamente con altri studi si è appreso che anche altri tipi di stimolazioni bilaterali come il tamburellare sulle mani in modo alternato e gli stimoli uditivi sono efficaci per lo stesso scopo. Questa tecnica permetteva di sostituire le esperienze negative con altre positive, aumentando il senso di efficacia della persona, modificando le reazione somatiche dell’individuo e promuovendo l’insight. Si trattava quindi, in realtà, di una tecnica in grado di trasformare esperienze traumatiche memorizzate dalla persona in momenti di elaborazione grazie a una tecnica di apprendimento rapido.

Il trattamento EMDR prevede 8 fasi: nella prima il terapeuta deve esplorare la storia del paziente da un punto di vista patologico e cronologico, elaborando un piano terapeutico, a partire dal problema che ha spinto il paziente al trattamento, e i relativi comportamenti e sintomi sviluppati dal paziente. Il piano terapeutico prevede dei target su cui indirizzare il trattamento EMDR, che consistono in episodi della storia del paziente che hanno creato il problema, situazioni presenti che causano malessere e le capacità che il paziente deve apprendere per il suo benessere. La seconda fase è quella della preparazione in cui il terapeuta fornisce al paziente degli strumenti per affrontare le problematiche che potrebbero presentarsi durante il trattamento, al fine di stabilire l’alleanza terapeutica, in particolare tecniche di rilassamento efficaci. In questa fase il clinico spiega al paziente la tecnica e cosa deve aspettarsi durante e dopo il trattamento.  Nella terza fase avviene la valutazione, in cui vengono individuati gli eventi traumatici del paziente, si scelgono delle immagini che li rappresentino, e si individuano le convinzioni errate ed esse legate. Nella quarta fase, quella della desensibilizzazione, il terapeuta somministra al paziente dei movimenti oculari ed altre stimolazioni bilaterali mentre la persona si concentra sul target individuato precedentemente e ai ricordi ad esso legati che emergono, finché il disagio del paziente non diminuisce. Nella quinta fase, si installa nel paziente una convinzione positiva che va a sostituire quelle negative emerse nella terza fase. Nella fase successiva, la sesta, si effettua una scansione del corpo per verificare se c’è della tensione residua relativa al target del paziente, che gli viene chiesto di richiamare alla memoria. Infatti numerose ricerche hanno dimostrato che c’è una risposta somatica ai pensieri irrisolti e traumatici. Secondo questi studi quando una persona è colpita negativamente da un trauma, le informazioni relative a questo evento vengono immagazzinate nella memoria motoria, piuttosto che in quella narrativa, dove vengono conservate le sensazioni fisiologiche e le emozioni negative dell’evento. La fase numero sette si ripete alla fine di ogni seduta, ed è quella di chiusura, in cui ci si assicura che il paziente si sente meglio rispetto a quando l’ha cominciata. Anche l’ultima fase, l’ottava, ricorre in tutte le sedute dopo la fase iniziale del trattamento, in cui il terapeuta verifica che i risultati precedentemente ottenuti continuino ad essere mantenuti dal paziente.

Isabel Fernandez, presidente dell’associazione EMDR Italia ha affermato che: “Dopo un trauma, come un lutto, una violenza, una catastrofe naturale, la memoria dell’evento resta ‘congelata’ nelle reti del cervello in modo non funzionale, l’informazione non può essere elaborata e continua a provocare patologie come il disturbo post traumatico da stress e altri disturbi psicologici. I movimenti oculari dell’EMDR sono simili a quelli del sonno REM e quindi del tutto naturali, riattivano la capacità di ‘autoguarigione’ del cervello che trova le risorse per metabolizzare l’evento traumatico. Dopo la terapia i pazienti ricordano il fatto ma sentono che fa ormai parte del passato”.

Nell 2013 l’EMDR è tato dichiarato dall’OMS un trattamento efficace per la cura del trauma e dei disturbi correlati. Prima della terapia la zona del cervello interessata dal trauma era quella frontale, legata a emozioni negative, mentre dopo il trattamento le aree attive erano quelle legate alle funzioni cognitive, che consentono al paziente di “elaborare” l’evento.

 

Manuale di EMDR e terapia familiare

Francine Shapiro, Florence W. Kaslow, Louise Maxfield, ed. Ferrari Sinibaldi, 2001

http://emdr.it/

 

Disturbo ossessivo complusivo

Disturbo ossessivo compulsivo – rituali consapevoli, ma necessari.

 

 

La sveglia non ha suonato, mi devo sbrigare! Metto la macchinetta del caffè sul fuoco e intanto scelgo i vestiti da indossare, faccio colazione e poi subito sotto la doccia. Esco dal bagno, mi asciugo, mi vesto, controllo di aver preso tutto, cellulare, portafoglio, chiavi, sì ok c’è tutto! Esco, chiudo la porta di casa con entrambe le mandate e…l’ho chiuso il gas?? Nella vita quotidiana è plausibile incorrere in dubbi circa la validità delle proprie azioni (verificare ad esempio due volte di aver chiuso la porta di casa e di incorrere nuovamente nel dubbio dopo averlo fatto): questo, fortunatamente, non accade sempre, visto che il nostro cervello effettua, al di fuori della coscienza, dei controlli costanti che ci garantiscono la sicurezza. La caratteristica principale di coloro che sono affetti da disturbo ossessivo compulsivo (DOC) riguarda invece l’alterazione di tale processo, che non consente loro di “raggiungere la conclusione logica delle proprie azioni”. Il DOC è una sindrome caratterizzata da ossessioni e compulsioni che durano almeno un’ora al giorno ed hanno un’entità tale da interferire col normale funzionamento della persona nella vita quotidiana. Le ossessioni sono vissute sotto forma di pensieri, impulsi o immagini intrusivi che provocano un marcato stato d’ansia e disagio; le compulsioni sono atti mentali o comportamenti ripetitivi che la persona è obbligata a mettere in atto per alleviare l’ansia provocata dalle ossessioni.

Le persone affette da disturbo ossessivo compulsivo, almeno in una prima fase della malattia ed in particolare per quanto riguarda i soggetti adulti, sono consapevoli del fatto che le loro ossessioni non sono razionali e provocano disagio (egodistonia), di conseguenza tendono a tenere nascosti i loro comportamenti compulsivi (per tale motivo il DOC è anche detto “disturbo nascosto”). Le ossessioni più frequenti sono: pensieri ripetitivi di contaminazione (ad esempio il timore di essere contaminati dai germi attraverso una semplice stretta di mano, (Di solito l’atto compulsivo che ne consegue riguarda il lavarsi); necessità di avere le cose sempre in un certo ordine (ad esempio provare disagio se certi oggetti non si trovano in una determinata posizione); fantasie sessuali (pensieri ossessivi con contenuti aggressivi o sessuali associati al timore di poterli mettere in atto, con conseguente senso di colpa); dubbi ripetitivi (ad esempio chiedersi sempre se si è chiusa la macchina, se si è lasciata aperta la porta di casa). Le compulsioni sono comportamenti che hanno l’intento di sopprimere o ignorare l’ansia e il disagio provocato da tali ossessioni, nonostante non sempre sembrano connesse a ciò che sono designate a neutralizzare. La maggior parte delle compulsioni riguarda queste quattro categorie: contare, evitare, controllare e pulire. Vi sono casi di persone che si lavano le mani più di 200 volte al giorno per la paura, o meglio l’ossessione, di essere contaminati dai germi!

L’attore Nicolas Cage nel film di Ridley Scott “Il genio della truffa” (in fondo all’articolo il lettore può trovare un estratto del film), interpreta un astuto truffatore con continue ossessioni di contaminazione e di ordine, che cerca di sopprimere attraverso una metodica pulizia. Le compulsioni che la persona deve mettere in atto per alleviare l’ansia provocata dalle ossessioni, spesso causano uno stato di stress tale da compromettere le normali attività della vita quotidiana: per esempio il personaggio del film prima di entrare in una stanza deve aprire e chiudere la porta tre volte contando. Anche nel film “American psycho” il serial killer interpretato da Christian Bale tra le diverse patologie psichiatriche da cui è affetto mostra numerose ossessioni per quanto riguarda l’ordine. Come mostrano queste pellicole il DOC si accompagna spesso ad altri disturbi: disturbo depressivo maggiore, ansia, disturbi di personalità. A tal proposito è necessaria una distinzione tra il DOC e il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità (DPOC): i due disturbi, pur presentando elementi simili, si differenziano per alcune caratteristiche fondamentali. Chi ha un DOC è tormentato da pensieri dal contenuto spiacevole ed è spinto a mettere in atto comportamenti rituali; è consapevole, però, che i suoi rituali sono insensati e irrazionali, e riconosce di avere un problema di cui vuole di solito liberarsi (egodistonia). Chi ha un disturbo ossessivo-compulsivo di personalità, invece, raramente prova disagio per i suoi comportamenti ossessivi (egosintonia); anzi, vive nella convinzione di essere protetto dai suoi comportamenti e spesso sviluppa elaborate razionalizzazioni per spiegarli. In tale patologia più che un quadro di ossessioni e compulsioni, se ne rileva uno caratterizzato da una generale preoccupazione per l’ordine, il perfezionismo e il controllo. (Per un approfondimento si rimanda all’articolo “Egosintonia ed egodistonia- di musica e di psiche” della rivista il Sigaro di Freud di Gennaio 2015).

Il DOC tende ad esordire in età molto precoce, spesso nell’adolescenza o nella prima età adulta. Si è discusso a lungo sulle cause di tale disturbo: sono state riscontrate cause genetiche osservando il grado di concordanza maggiore in gemelli omozigoti piuttosto che in quelli eterozigoti. È stata rilevata una stretta associazione tra abusi fisici e psicologici e la comparsa della patologia ossessivo compulsiva; è stato riscontrato che il grado di stress apportato da un evento è correlato alla gravità dei sintomi: non è un caso, infatti, la frequente associazione tra disturbo post-traumatico da stress e il DOC. Va detto però che, se il soggetto con DOC mantiene nel tempo l’egodistonia circa le ossessioni e le compulsioni, può ricercare la psicoterapia e attraverso essa può raggiungere un buon adattamento sociale e lavorativo. In particolare per questi pazienti appare piuttosto efficace la terapia di gruppo.

Articolo a cura del Dott. Rossetti Andrea

Per approfondire:

Guidetti, V., (2005). “Fondamenti di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza.” Bologna: il mulino.

Lingiardi V., (2004) “La personalità e i suoi disturbi” Milano: gruppo editoriale Il Saggiatore S.p.a.

“American Psycho” Film di Mary Harron, 2000, USA

“Il genio della truffa” Film di Ridley Scott, 2003, USA

Dalì e l’inconscio – un incontro surreale

“Nel periodo surrealista desideravo creare un’iconografia del mondo interiore, il mondo fantastico, quello del padre Freud. E ci sono riuscito!”  Salvador Dalì scrisse queste parole a proposito del contributo fondamentale che la psicoanalisi diede, senza avvedersene, al surrealismo. In occasione della mostra Dalí. Il sogno del classico, organizzata con la collaborazione della Fundación Gala-Salvador Dalí e MondoMostre, inaugurata il 1 ottobre e aperta al pubblico fino al 5 febbraio presso il Palazzo Blu di Pisa, abbiamo deciso di esplorare questo rapporto d’amore che da molti studiosi di arte è stato definito “a senso unico”.

La mostra presenta al pubblico oltre 150 opere provenienti dal Museo Fundación Gala-Salvador Dalí di Figueres, dal Dalí Museum di St. Petersburg in Florida, e dai Musei Vaticani, mostrando il grande legame che l’artista aveva con l’Italia e l’arte classica, quella rinascimentale e di Michelangelo in particolare.

Sono gli ultimi anni di attività del pittore, che segnano la sua svolta mistica e religiosa, che lui definiva la nuova era della pittura mistica, in cui riesce a coniugare la passione per la scienza, la religione e i maestri della pittura, come dimostrano quattro capolavori:  La Trinità, studio per il Concilio ecumenico del 1960, Paesaggio di Port Lligat, 1950, Sant’Elena a Port Lligat, 1956 circa e Angelo di Port Lligat, 1952. “Sono tutto invasato dai canoni geometrici, dalle misure, dalle proporzioni (…)”. Nel 1951 pubblica la sua opera  “Manifesto Mistico”; un manifesto che vuol essere una legittimazione della sua pittura di temi religiosi ispirati agli artisti rinascimentali che ammira.

Ma Dalì non avrebbe mai potuto cimentarsi con i classici “mastri” dell’arte se non fosse prima passato per il surrealismo e per le tortuose strade dell’inconscio e nel tentativo, magistrale, di rappresentarlo nella sua arte. Il Surrealismo per l’artista rappresentava l’occasione per far emergere il proprio inconscio, secondo quel principio dell’automatismo psichico teorizzato da Breton. E a questo automatismo psichico Dalí diede anche un nome preciso: metodo paranoico-critico. La paranoia, secondo Dalì è: «una malattia mentale cronica, la cui sintomatologia più caratteristica consiste nelle delusioni sistematiche, con o senza allucinazioni dei sensi. Le delusioni possono prendere la forma di mania di persecuzione o di grandezza o di ambizione». È solo grazie a questa fase, in cui le immagini nate nelle viscere dell’inconscio riescono ad essere fissare sulla tela, grazie ad una razionalizzazione del delirio, che lui definiva momento critico. Il primo quadro frutto di questo procedimento ideativo è “Il gioco lugubre”, del 1929, in cui un uomo, di spalle, indossa mutande sporche di escrementi, utilizzando una prospettiva dilatata e numerosi elementi tra cui uomini, animali, oggetti inanimati secondo dei processi di combinazione irrazionali, deformanti e sconcertanti.

Appare chiaro il debito che i surrealisti hanno con Freud e con l’inconscio. Fornisce ai surrealisti “armi insostituibili” (Breton, 1940, cit. in De Micheli, 1999, p.180). Breton stesso ne il Manifesto dei surrealisti afferma di dover ringraziare Freud e le sue scoperte perché grazie ad esse l’indagine umana può spingersi più lontano nel suo peregrinare.  “L’immaginazione è forse sul punto di riconquistare i propri diritti. Se le profondità del nostro spirito racchiudono strane forze capaci d’aumentare le forze di superficie o di contrapporsi vittoriosamente ad esse: v’è tutto l’interesse a captarle prima, per poi sottometterle, se appare necessario, al controllo della nostra ragione. … Giustamente Freud ha condotto la sua critica sul sogno. È inammissibile infatti che questa considerevole parte dell’attività psichica … abbia ancora richiamato così poco l’attenzione” (Breton, 1924, cit. in De Micheli, 1999, p.328). Breton, contrariamente a Freud  pensava che fosse lo stato di veglia, e non il sonno, l’interferenza, essendo parte integrante dell’essenza dell’uomo. Dalì realizza la fantasia di Breton, ovvero di realizzare una fusione del sonno e della veglia, che rappresenta l’anima dell’arte surrealista. “Io credo nel futuro risolversi di questi due stati, in apparenza così contraddittori, sogno e realtà, in una specie di realtà assoluta, di surrealtà, se così si può dire. È verso tale conquista che io muovo…” (Breton, 1924, cit. in De Micheli, 1999, p.331).

Sebbene la psicoanalisi e l’opera di Freud furono così importanti e profondamente influenti per lo sviluppo del momento surrealista, come abbiamo affermato in precedenza, questo amore fu a senso unico. Per spiegarvi la natura di questo sentimento non corrisposto vi riportiamo la descrizione dell’incontro che avvenne tra Freud e Dalì, a Londra nel 1938, al n°39 di Elsworthy Road. Il giovane Dalì aveva avuto una rivelazione artistica. Mentre era intento a degustare un piatto di escargòt capì che il cranio di Freud, del cui arrivo a Londra aveva appena letto sul giornale, era una gigantesca lumaca.  “Il suo cervello ha la forma di una spirale, pronto per essere estratto con uno stuzzicadenti!”. Grazie ad un suo ammiratore, l’autore Stefan Zweig, amico di Freud, riuscì ad ottenere un incontro con il suo grande maestro. Arrivato a casa del padre della psicoanalisi Dalì cominciò a disegnare la testa di Freud e contemporaneamente una lumaca. Viene riportato che Freud, mentre lo osservava dipingere disse a Zweig : “Questo ragazzo è proprio un fanatico. Ora capisco perché in Spagna c’è la guerra civile… se è popolata da individui del genere!”.  Il povero Zweig, per evitare ulteriori imbarazzi riuscì ad impedire a Dalì di mostrare quel disegno a Freud, dato che egli tra le altre cose soffriva già da anni di cancro, temendo che potesse offendersi per quel disegno.

Nonostante il brusco incontro Dalì continuo a stimare  Freud, e grazie a Zweig oggi possiamo ammirare l’elaborazione surrealista di Dalì del cranio del suo idolo. Lo scarso interesse di Freud per i surrealisti è riportato da lui stesso, in una lettera a Breton pubblicata in La Révolution Surréaliste: “Benchè io riceva tante testimonianze dell’interesse che voi e i vostri amici portate alle mie ricerche, io stesso non sono capace di spiegarmi che cosa sia e che cosa voglia il surrealismo. Può darsi che non sia fatto per capirlo, io che sono così lontano dall’arte” (Freud, 1932, cit. in De Micheli, 1999, p.180). In fondo Freud era anche contrario al cinematografo e non voleva che i suoi seguaci se ne occupassero, e anche in quel caso ha ispirato i più grandi registi del mondo.

Articolo a cura della dottoressa Valeria Colasanti

Per Approfondire:

Romm, S., & Slap, J.W. (1983). Sigmund Freud and Salvador Dalì: Personal Moments. American Imago, Vol.40 (4), 337-347

Breton, A. (1987). Manifesti del Surrealismo. Torino: Einaudi

Berlyne, D. E. (1971). Aesthetics and psychobiology. New York: Appleton-Century-Crofts

Cosa sono le emozioni?

 

E’ difficile formulare una definizione univoca delle emozioni alla luce delle numerose definizioni elaborate. In linea generale, quando si parla di emozione si intende indicare la componente soggettiva, la sensazione affettiva che accompagna la condotta di un individuo e che costituisce una risposta a stimolo interno o esterno. E’ caratterizzata da peculiari reazioni somatiche, vegetative e psichiche. Dal punto di vista semantico bisogna distinguere il termine “ emozione” da quello “sentimento/affetto”. Il primo indica un’esperienza affettiva intensa e di breve durata; il secondo ne indica il vissuto emotivo, più durevole, stabile e complesso.

Considerandola da vicino, l’emozione possiede diverse componenti:

  • la componente cognitiva concernente la valutazione in termini cognitivi dell’evento scatenante l’emozione;
  • la componente fisiologica che riguarda i cambiamenti fisiologici come ad esempio l’aumento del battito cardiaco o l’aumento della sudorazione;
  • la componente espressivo-motoria che pone la sua attenzione sulle manifestazioni comportamentali osservabili dall’esterno quali ad esempio la gestualità e l’espressività del volto;
  • la componente motivazionale che considera l’emozione come una disposizione ad agire per soddisfare i bisogni;
  • la componente soggettiva che riguarda la riflessione soggettiva sul vissuto emotivo.

Non si può parlare di “primato”, sia esso cognitivo o espressivo – motorio. Ne deriva che le emozioni vanno considerate come sistemi dinamici di componenti ed è opportuno considerare tali componenti come organizzati in una struttura gerarchica.

 

Funzioni delle emozioni

  1. Funzione comunicativa intrapersonale (fornisce un sistema rapido, ad altissima priorità, parallelo a quello cognitivo per modulare la disposizione ad agire dell’organismo).
  2. Funzione comunicativa interpersonale (precede lo sviluppo del linguaggio e successivamente può accompagnarlo)
  3. Fanno da di ponte tra il fisiologico e lo psichico (informa il sistema conscio di alcuni valori di base utili per l’equilibrio del sistema)

 

 

Molte sono le teorie che a partire dalla fine del XIX secolo sono state formulate, ma nessuna di esse considera l’emozione nella sua globalità.
Le teorie psicofisiologiche delle emozioni

  • Teoria viscerale o periferica delle emozioni di James e Lange (1884): di fronte a stimoli ambientali di tipo emotivo, il nostro organismo risponde con delle reazioni viscerali e neurovegetative. La  percezione di tali modificazioni organiche periferiche genera l’emozione (es.: si  ha paura perché si trema). In sostanza il vissuto emotivo non sarebbe altro che una specie di interpretazione soggettiva alle variazioni del sistema nervoso periferico, che sono a loro volta risposte riflesse automatiche a stimoli provenienti dall’esterno. Si chiama periferica perché suppone che il punto di partenza di tutta la catena non sia il SNC, ma la sua periferia. Numerosi esperimenti hanno tuttavia dimostrato che questa teoria è certamente incompleta, se non interamente falsa.
  • Teoria centrale di Cannon-Bard (1927): l’origine dell’emozione è tutta dentro il cervello, nella regione talamica. I segnali nervosi provenienti da essa sarebbero in grado sia di provocare l’attivazione delle risposte espressivo-motorie sia del sistema viscerale. Tale teoria è stata sottoposta a numerose verifiche psicofisiologiche, che hanno evidenziato che la stimolazione delle zone individuate da Cannon effettivamente innesca la sequenza comportamentale tipica delle diverse emozioni, ma il “vissuto emotivo” ha sede in zone meno primitive del cervello, in strutture che sono a ponte tra i nuclei dell’ipotalamo e la corteccia cerebrale.
  • Il circuito di Papez (1937): ipotalamo, talamo, giro cingolato e ippocampo sono i centri di elaborazione e controllo delle emozioni. Successivamente questo circuito fu integrato con altre strutture cerebrali (amigdala, nuclei del setto, corteccia orbito-frontale e gangli della base) e fu denominato circuito limbico da MacLean (1949). Elaborazione, regolazione delle emozioni e svolgimento di funzioni essenziali per la sopravvivenza dell’organismo
  • Teoria dell’attivazione (o teoria dell’arousal) di Lindsley (1970): l’emozione coincide con uno stato di attivazione funzionale (cioè un’aumentata attività bioelettrica del sistema nervoso sia centrale, sia periferico). Questo stato di attivazione (visibile dal tracciato elettroencefalico) non sembra diversificato passando da un tipo di emozione all’altro, né sembra diversificato quando opera una motivazione biologica (come la fame o la sete). Questa teoria ha un carattere un po’ troppo generale.
  • Oggi l’emozione è vista come un’attivazione dell’intero organismo, secondo un’operazione complessa messa in atto dal SN centrale, periferico ed endocrino.

 

Le teorie psicologiche delle emozioni

  • Psicologia pre-scientifica: l’emozione si contrappone all’idea di razionalità ed è considerata un fattore di perturbazione della condotta razionale dell’uomo. La razionalità era ritenuta un attributo caratteristico e nobilitante dell’uomo, in contrasto all’emozione-perturbazione ritenuta un attributo animalesco e non degno di studio. L’interesse per le emozioni era solo poetico e filosofico.
  • Teorie evoluzionistiche:
    • Si ispirano agli studi di Darwin (1872) sull’espressione delle emozioni negli animali e nell’uomo, in cui si individuano molte affinità, ma anche molte differenze. Per esempio aveva sostenuto l’universalità dell’espressione facciale delle emozioni, affermando che nei primati superiori era rinvenibile un tipo di mimica facciale molto simile a quella
    • Le emozioni avrebbero un ruolo molto importante nell’adattamento della specie all’ambiente, sia perché preparano a reagire in modo efficace alle situazioni che hanno suscitato le emozioni, sia per la loro funzione comunicativa
    • Ekmane Friesen (1969) confermarono le intuizioni di Darwin circa l’universalità delle espressioni facciali, tenendo conto anche dell’influenza culturale sull’espressione facciale delle emozioni: le differenze culturali non sarebbero da ricercarsi nel comportamento espressivo in sé, ma nelle regole che governano l’espressione emotiva nelle diverse situazioni sociali e negli stimoli esterni. Ekman, a tal proposito, ha elaborato una teoria “neuro-culturale” dell’espressione facciale delle emozioni (1971) presuppone che negli individui ci siano dei programmi di risposta facciale specifici per l’emozione, con base genetica, codificati a livello neuronale e responsabili di tutte le risposte del SNC e SNA.  Queste espressioni producono reazioni sia nell’attore sia nell’osservatore. Le norme culturali regolano, in parte, l’espressione delle emozioni. Le regole d’espressione o Display Rules sono regole di esibizione culturalmente determinate e frutto di apprendimento di determinati modelli comportamentali.
      Alcune società più di altre richiedono, per esempio, che l’espressione delle emozioni (specie negative) riguardi la sfera privata degli individui e non la loro immagine pubblica. Un famoso esperimento di Ekman (1973) mostrò che i soggetti giapponesi più di quelli americani cercavano dì controllare la loro espressione facciale dì fronte ad emozioni negative se in compagnia di un compatriota.

      • FACS (Facial Action Coding System) di Ekman e Friesen (1978): metodo per studiare scientificamente le espressioni facciali delle emozioni. Scompone in modo analitico le diverse componenti cinestesiche di una particolare espressione e individua le unità di azione del volto in superiore (sopracciglia, occhi, fronte) e inferiore (mento, bocca, naso, guance). Ha permesso di distinguere le emozioni di base dalle emozioni secondarie. Non è l’unico metodo, ma è certamente quello più noto e completo.
    • Ekman (1992): Teoria delle emozioni di base o fondamentali.
      • Le emozioni sarebbero relativamente POCHE (circa 6): felicità, tristezza, rabbia, paura, disgusto e sorpresa. Tutte le altre emozioni esistenti deriverebbero da queste e dipenderebbero dalla cultura e dall’apprendimento.
      • Sono INNATE (hanno un’origine BIOLOGICA) e UNIVERSALI, cioè uguali in tutte le culture. Ekman e Friesen effettuarono uno studio molto importante: sottoposero al giudizio di un gran numero di giudici provenienti da molte nazioni e di aree socioeconomiche diverse, delle espressioni facciali da loro prodotte. Poi studiarono i giudizi di individui provenienti da due società “primitive” della Nuova Guinea. Produssero un gran numero di dati che confermarono l’accordo di giudizio e quindi l’universalità.
      • Le emozioni costituiscono delle entità DISCRETE, cioè sono distinte le une dalle altre, essendo caratterizzate da configurazioni ben specifiche, a livello espressivo, fisiologico, motivazionale ed esperienziale
      • Vantaggi e svantaggi: la teoria è molto coerente, ma è anche molto rigida e vulnerabile e non per tutti i punti vi è una dimostrazione certa.
    • Teorie costruzionistiche:
      • Le emozioni hanno un’origine CULTURALE: non sono entità biologicamente determinate, ma sono costruite in base ai valori di una data società
      • Sarebbero quindi INFINITE, o comunque VARIABILI secondo le culture
      • Gli autori di queste teorie si oppongono ai sostenitori delle emozioni di base
      • Harré (1986): sono il linguaggio e la struttura dei valori delle società a determinare le emozioni, come è testimoniato dall’analisi del lessico emotivo: le denominazioni delle emozioni variano sensibilmente nelle varie epoche storiche e nelle diverse culture
      • Averill (1985):
        • l’amore romantico, puro, altruistico della nostra cultura non è universale, ma ha un’origine storica che risale all’amor cortese medievale. L’amore per come lo si intende oggi è un processo di costruzione.
        • rifiutando la riduzione dell’analisi delle emozioni a livello prevalentemente biologico, l’autore ha proposto un modello esplicativo generale, definito modello costruttivista delle emozioni, che integra gli aspetti psicologici e psicosociali con quelli biologici in un processo unitario. L’autore definisce le emozioni come “ruoli sociali transitori”, e considera la loro espressione comportamentale come derivato funzionalmente significativo, non di una selezione biologica darwiniana, ma di un sistema socio-culturale.
      • Teorie comportamentiste:
        • Si sono occupate degli aspetti fenomenici dell’emozione, cioè del comportamento emotivo
        • Watson (1929), teoria dello stimolo specifico: l’emozione è un riflesso comportamentale che si attiva di fronte a specifici stimoli (nei termini S-R) e dirige il comportamento. Egli individua 3 emozioni fondamentali che si instaurano già nella fase neonatale: la paura come risposta a rumori molto intensi e di pericolo e che innesca la fuga, la collera come risposta al disagio provocato da fasciature troppo strette e che innesca l’attacco, l’amore come risposta alle carezze e al dondolamento che innesca benessere. Tutte le altre emozioni si instaurano nell’organismo mediante un processo di condizionamento a partire dalle 3 emozioni primitive. METODO SPERIMENTALE: somministrava lo stimolo al neonato e osservava la sua reazione emotiva. Grave difetto di metodo, però: conoscendo lo stimolo somministrato al bambino, il rischio era quello di proiettare sul bambino ciò che lui stesso avrebbe provato.
      • Teorie psicoanalitiche:
        • Emozioni come processo inconscio profondo, di cui solo la parte più contestualizzabile giunge alla coscienza.
        • Freud: fenomeni di lunga durata, con un’origine essenzialmente interna, esse svolgono un ruolo fondamentale nella strutturazione della personalità e sono una chiave d’accesso all’inconscio. L’affetto può anche essere all’origine delle nevrosi, quando, in seguito ad un trauma, la componente ideativa del ricordo viene rimossa e la componente affettiva subisce un processo di conversione o spostamento o, nel migliore dei casi, di sublimazione.
        • Klein: descrive stati affettivi, quali amore, odio, invidia, gratitudine, volontà di riparazione, come le principali emozioni vissute dal lattante nel suo primo relazionarsi con il mondo.
        • Winnicott indaga concetti quali attaccamento, separazione, amore e perdita e suggerirà, come tecnica di cura, l’holding, soprattutto per i soggetti con problematiche irrisolte risalenti a stadi primari dello sviluppo
        • Evoluzioni importanti e recenti sono la teoria dell’attaccamento di Bowlby e i contributi di Trevarthen sulle emozioni nei primi anni di vita
        • L’orientamento psicoanalitico ha recentemente incluso anche lo studio delle emozioni cosiddette quotidiane, come l’analisi della solitudine di Masud-Kahn, della nostalgia di Sohn, dell’invidia e della gelosia di Spielman.
        • Wilma Bucci e la teoriadel codice multiplo (vedi tema specifico Alessitimia)
      • Teorie cognitive:
        • La risposta emozionale dipende dal processo di valutazione cognitiva (“appraisal”) dell’informazione in ingresso, cioè di elaborazione della sua valenza e della sua rilevanza per lo scopo che vogliamo raggiungere
        • Non sono universali ed innate
        • Sono adattive: insorgono nelle situazioni in cui accade qualcosa d’importante per l’individuo e servono a prepararlo e motivarlo a rispondervi adattivamente
        • Non sono simili ai riflessi, cioè non sono semplici risposte a stimoli situazionali, ma rispecchiano le implicazioni personali di una persona, le sue conoscenze, la sua esperienza passata. Per questo alla stessa situazione individui diversi possono avere risposte emozionali diverse e uno stesso individuo può avere reazioni diverse in situazioni simili tra loro
        • Il risultato della valutazione cognitiva organizza le altre componenti della risposta emozionale, come l’espressione facciale, l’attività autonomica, la tendenza all’azione e il vissuto soggettivo, col quale l’individuo diventa cosciente della sua emozione e la denomina come paura, rabbia, ecc.
        • Teoria cognitivo-attivazionale o dell’etichettamento di Schachter e Singer (1962): considerano fondamentale il processo di valutazione cognitiva. Gli autori evidenziano che il soggetto attribuisce ad uno stimolo un valore di attivazione (arousal) e successivamente assegna alla situazione un significato emotivo invece che un altro.
          In sostanza, l’attivazione non é sufficiente per avere un’ emozione, é il processo di attribuzione del significato che la definisce. Secondo questa teoria, proviamo un’emozione quando designiamo con un’etichetta  lo stato diffuso di attivazione; questo stato di attivazione quindi è generalizzato fino a quando non lo colleghiamo cognitivamente con una interpretazione relativa all’emozione.
        • Teoria cognitivo-fenomenologica di Lazarus (1982): perché compaia un’emozione è necessario il processo di valutazione cognitiva, ossia la valutazione dell’impatto che gli eventi hanno sul proprio benessere. Se tale valutazione appare insignificante, non c’è attivazione emozionale. Le emozioni sono stati complessi e organizzati, in cui sono distinguibili 3 componenti espresse nel fenomeno unitario dell’emozione:
          • una valutazione cognitiva dello stimolo
          • l’impulso all’azione
          • la reazione fisiologica associata.

Diverse configurazioni di queste tre componenti danno le diverse emozioni.

  • Agli inizi degli anni ’80 è stata molto vigorosa la polemica tra Zajonc e Lazarus. Il primo sosteneva che lo stimolo, in seguito alla registrazione sensoriale, dà luogo ad una risposta affettiva. Il secondo sosteneva che tra percezione dello stimolo e la risposta affettiva vi fosse la valutazione cognitiva. Tale contrapposizione è stata superata poiché il dibattito attuale considera le emozioni come influenzate da molteplici componenti
  • Plutchick (1980): i processi cognitivi si sviluppano a partire dalle esperienze emozionali, intese come la prima forma attraverso cui l’organismo si orienta nel suo ambiente al fine di soddisfare i suoi bisogni biologici. Inoltre egli distingue 8 emozioni primarie creando il “solido delle emozioni”. Ciascuno degli 8 spicchi verticali rappresenta un’emozione fondamentale, collocata in posizione centrale rispetto alle 3 sezioni in cui è diviso lo spicchio, le quali sezioni rappresentano l’intensità dell’emozione, che decresce dall’alto verso il basso (es: dolore, tristezza, pensosità). Dalla sezione trasversa del solido si ottiene la “ruota delle emozioni”, divisa sempre in 8 parti. Due emozioni primarie adiacenti si mescolano dando un emozione secondaria, o mista.
  • Intelligenza emotiva: vedi tema specifico.

 

Sviluppo delle emozioni

Studi di Watson: grave errore di metodo.

Studi successivi (Scherman): non è possibile distinguere le tre classi di risposte emotive ipotizzate da Watson. Nel bambino esiste solo una reazione emotiva, l’eccitazione generale. Poi le proiezioni degli adulti forzerebbero tale eccitazione generale in schemi noti (paura, gioia…).

Studi della Bridges (1932): la manifestazione emotiva del neonato fino a circa sei settimane di vita non è altro che un’eccitazione indifferenziata. Essa si sviluppa poi, nei primi mesi di vita, prima in due alternative (positiva e negativa), in seguito differenziandosi nelle emozioni fondamentali e in quelle più complesse, grazie all’apprendimento ma anche alla maturazione fisiologica, percettiva e cognitiva, del bambino.

All’inizio della vita l’efficienza del sistema sensoriale nel raccogliere e discriminare i segnali esterni non è molto buona (a 5 sett. riesce a vedere in modo nitido solo gli oggetti posti a distanza limitata, come il viso della madre quando lo prende il braccio). In generale il bambino non risponde agli stimoli esterni, ma solo a  quelli interni (molte ricerche sperimentali e cliniche dimostrano che egli è incapace di distinguere tra ciò che è parte di sé e ciò che esterno a sé). Il neonato non possiede una chiara percezione dei limiti del proprio corpo e tende a reagire agli stimoli sempre nello stesso modo.

  1. Reazione globale (fino a 6 settimane)
  2. Diversificata in positiva e negativa, corrispondenti allo schema di Bridges di contentezza e disagio (3-4 mesi)
  3. Si raffina e si articola in tutte le sfumature che possiamo vedere nell’adulto (2 anni)

E’ fondamentale il ruolo materno durante i primissimi mesi di vita del bambino: la sua capacità di riconoscere bisogni ed emozioni del bambino determina la salute psichica del piccolo (es. concetto di rêverie di Bion, di holding di Winnicott): amore, cure, sostegno, attenzioni, contenimento, contatto e presenza sono solo alcuni dei prerequisiti essenziali affinché il bambino sviluppi gradualmente le competenze psicoaffettive per una regolazione delle tensioni interne.

Spitz: 3 mesi sorriso di fronte ad una figura non necessariamente umana, in cui sono distinguibili fronte,       occhi e naso; 6-7 mesi sorriso ad una faccia nota; 8 mesi distingue figure familiari da quelle non familiari, mostrando l’angoscia di fronte all’estraneo.

In generale

  • dal primo mese si notano espressioni facciali che rimandano a gioia, collera, dolore; reazioni alla variazione dell’espressione dell’adulto (contagio emotivo).
  • prima della varbalizzazione compare la capacità di comprendere le emozioni.
  • 2 anni: capacità empatiche; tentativi di modificare sentimenti altrui tramite comportamento appropriato;
  • dai 6 anni: sa mostrare sentimenti opportuni a sec della situazione;
  • 8 anni: prova emozioni complesse (vergogna, senso di colpa, invidia)
  • 10 anni: capisce di poter provare emozioni contrastanti-ambivalenti

Metodi di indagine

Colloquio: le emozioni vengono espresse attraverso la comunicazione verbale, ma soprattutto non verbale (postura, gesti, intonazione della voce, sguardo, contatto oculare, mimica facciale, distanza interpersonale) del soggetto, così come anche dalle fantasie e dai sogni riportati. E’ importante prestar attenzione alla congruenza tra vissuto emotivo e linguaggio verbale. Attraverso l’empatia è possibile esplorare il livello emozionale dell’altro, fino a sentire “come se” si fosse l’altro, in un equilibrio dinamico tra partecipazione e distacco, identificazione e separazione. Il colloquio ben condotto e l’empatia sono utili strumenti che possono aiutare a far tornare in superficie le emozioni negate e a far loro riacquistare una valenza adattiva (le emozioni danno importanti informazioni su come raggiungere il benessere per l’individuo).

Metodo sperimentale:

  • Esperimento di Watson con i neonati: somministrava stimoli al neonato al fine di suscitare una delle 3 emozioni da lui considerate e poi osservava i comportamenti che ne derivavano (per suscitare la rabbia teneva fermo il piccolo). In tale esperimento però fu evidenziato un difetto metodologico: lui creava lo stimolo e lui stesso osservava la risposta, quindi aveva già in mente il comportamento emotivo che si sarebbe aspettato. Esperimenti successivi hanno optato sui filmati delle reazioni emotive dei bambini, con la sola faccia, isolata dal tipo di stimoli e dal contesto. In questo caso non si è più capaci di differenziare le tre classi di risposte emotive ipotizzate da Watson e si osserva una reazione emotiva di eccitazione generale (le emozioni attribuite al neonato sarebbero frutto delle proiezioni degli adulti).
  • Esperimenti di Ekman sull’espressione delle emozioni
  • Esperimenti di Palumbo e Stagno sulle reazioni fisiologiche all’emozione: hanno mostrato ai soggetti alcune diapositive con lo scopo di suscitare emozioni durante le quali misurare le alterazioni dell’organismo (tassi ematici, pressione, respirazione, sudorazione). Il risultato è che vi è un insieme congruente di modificazioni fisiologiche legate alle emozioni negative e modificazioni di altro tipo per le emozioni positive.

 

Metodo psicometrico (di autovalutazione e proiettivi):

Fanno riferimento all’esperienza soggettiva, usando varie tecniche di indagine, tipo questionari, che si basano sull’introspezione e usano il linguaggio.
I limiti sono dati principalmente dal fatto che si possono utilizzare con soggetti collaborativi, con lucidità mentale e non vi è possibilità di controllo intersoggettivo della validità dei risultati. Si tratta comunque di metodi insostituibili in quanto non vi è nessun altra misura che può sostituire il vissuto soggettivo.
Uno dei metodi utilizzati consiste nel presentare liste di termini (aggettivi o forme verbali) che vengono comunemente riferiti all’umore o alle emozioni e i soggetti devono indicare quali termini definiscono meglio il loro stato emotivo, o indicarne l’intensità, la frequenza e il grado di certezza della propria valutazione.

La ACL – Adjective Check List (Gough 1960) è una scala di autovalutazione formata da liste di aggettivi.
A partire da 300 item i soggetti devono indicare quali ritengono adatti a descrivere sé stessi e si calcolano dei punteggi di valutazione su 16 scale che si riferiscono per lo più a tratti costanti della personalità.

Un altro test dello stesso tipo ma più breve è il Multiple Affect Adjective Check List di Zuckerman e Lubin (1965), ha le stesse caratteristiche di somministrazione del precedente ma è costituito da 132 aggettivi.

Una variante alle scale di aggettivi, sono le liste di proposizioni a cui si deve dare un giudizio su una scala Likert. Una scala di questo tipo molto diffusa è la STAI (State-Trait Anxiety Inventory) formata da 40 frasi suddivise, sia nella somministrazione che nella valutazione, tra frasi che si riferiscono a tratti e frasi che si riferiscono a stati; soprattutto quest’ultima parte viene utilizzata negli studi emozionali.

Il test EPI- Emotion Profile Index (Plutchik e Kellerman) è stato costruito per verificare la teoria psico-evolutiva di Plutchik (1962) e di questo test vengono considerate le dimensioni più importanti per discriminare gli stati positivi da quelli negativi.

Test proiettivi come il Rorschach, che permettono al soggetto di proiettare i propri contenuti emotivi interni e di valutare come essi vengono gestiti

 

Misure comportamentali:

Sicuramente vi è un corrispondente comportamentale degli stati emotivi anche all’insaputa o contro il volere di chi li prova. La valutazione degli aspetti comportamentali delle emozioni è però difficoltosa in quanto richiede decisioni di metodo che non possono prescindere da una teoria, anche se questa resta poco definita.
Fra queste misure la voce offre molto materiale utile: Eldred e Price (1957) osservarono una caratterizzazione del tono della voce in corrispondenza di particolari vissuti emotivi registrando per un anno le sedute psicoterapiche di un paziente.
Il metodo principe per identificare dall’esterno gli stati emotivi si basa sull’espressione del viso.
Lo strumento più conosciuto (vedi sopra) è il FACS di Ekman e Friesen (1969).

 

Ambiti applicativi: lo studio delle emozioni può essere utile in

Ambito clinico psicopatologico: nei disturbi psicologici le emozioni hanno quasi sempre un ruolo chiave e la valutazione di come esse sono gestite o canalizzate è un indice diagnostico della gravità della patologia. Ad esempio nei disturbi di personalità Borderline e Antisociale vi è una scarsa capacità di gestire gli impulsi, il che è indice di debolezza dell’Io. Anche l’utilizzo rigido ed esclusivo dei meccanismi di difesa, al fine di gestire le emozioni, è indice di psicopatologia.

Ambito clinico psicodinamico: la terapia individuale e di gruppo mira alla presa di consapevolezza sul proprio stato emotivo e sulle emozioni disturbanti la quotidianità e alla rielaborazione dei vissuti emozionali. In questo tipo di terapia sono molto utili i fenomeni di transfert (il paziente proietta i propri contenuti emotivi nel rapporto con il terapeuta, che verranno rielaborati nel setting) e di controtransfert (la reazione emotiva che può avere il terapeuta di fronte alle problematiche del paziente e al suo transfert).

Ambito clinico comportamentale: sviluppare strategie di controllo emozionale e di autoconsapevolezza emotiva, volta all’eliminazione di comportamenti indesiderati e all’apprendimento di comportamenti adeguati (bullismo o aggressività).  Propone la possibilità del trattamento delle emozioni esagerate e disfunzionali alla base fobie tramite le tecniche di decondizionamento: ad esempio, nella desensibilizzazione sistematica, lo stimolo fobico viene gradualmente presentato al soggetto durante uno stato di rilassamento e venendo progressivamente associato dal soggetto alle tecniche corporee piacevoli, perde le sue connotazioni negative.
Ambito assessment psicodiagnostico: gran parte dell’attenzione è posta sull’affettività (in termini pulsionali e di vissuti emotivi scatenati dalla valutazione cognitiva) e sulla qualità dell’angoscia. E’ importante osservare la congruenza tra il vissuto emotivo che l’individuo mostra e quello che comunica verbalmente per analizzare la gravità della patologia, il contatto con la realtà, il funzionamento dell’Io, il modo in cui la persona si relaziona con se stessa.

Ambito di ricerca in medicina psicosomatica: incapacità nell’elaborazione ed espressione delle emozioni e insorgenza della malattia somatica. Qualora gli stati emotivi non vengano adeguatamente elaborati a livello psicologico, possono alterare le funzioni somatiche fino a determinare vere e proprie lesioni organiche.  Si prevede il lavoro combinato di medici e psicologi, avendo come obiettivo la presa di coscienza, l’elaborazione e l’integrazione da parte del paziente delle proprie emozioni. Spesso i soggetti che tendono a somatizzare presentano alessitimia: la difficoltà del soggetto nell’individuare e verbalizzare i sentimenti; tra gli attuali strumenti utilizzati per misurare tale costrutto, la Toronto Alexithymia Scale (TAS 20) di Taylor risulta uno dei più accreditati.

Applicazione della teoria del codice multiplo nel campo della somatizzazione: I teorici della psicoanalisi hanno coerentemente assunto che esista una relazione inversa fra somatizzazione e capacità di verbalizzare le emozioni, così come fra l’acting out e la verbalizzazione. Secondo la teoria del codice multiplo, il trattamento dei pazienti con somatizzazione può essere facilitato focalizzandosi su qualsiasi entità specifica e discreta disponibile a fungere da simbolo organizzatore all’interno del sistema non verbale. Specifici sintomi somatici o azioni possono quindi giocare un ruolo di simbolizzazione transizionale facilitando la formazione dei simboli e l’integrazione degli schemi all’interno dello stesso sistema non verbale prima che altri oggetti, immagini o parole vengano accettate. Una particolare disabilità fisica o un grave dolore fisico possono costituire la prima entità discreta che consente al sistema di entrare nel dominio simbolico.

 

ARGOMENTO CORRELATO:

EMOZIONE E MEMORIA

Definizione: L’emozione può essere definita come una reazione soggettiva/affettiva intensa, di carattere adattivo, ad una esperienza interna/esterna, piacevole oppure spiacevole, che ha conseguenze sul piano comportamentale, fisiologico, affettivo e cognitivo dell’individuo. È caratterizzata da un’insorgenza acuta e di breve durata determinata da uno stimolo esterno o interno con peculiari reazioni somatiche, vegetative e psichiche. La memoria  rappresenta una delle principali funzioni cognitive umane e consiste nella capacità del cervello di immagazzinare e conservare le informazioni nel tempo per poterle poi recuperare o riconoscere. Il processo mnemonico perché avvenga deve passare attraverso tre momenti: (FASE DELLA CODIFICA)l’informazione che arriva dall’esterno viene codificata, ovvero immessa nel sistema, (FASE DELL’IMMAGAZZINAMENTO) per poi essere immagazzinata, ovvero conservata nel corso del tempo e successivamente (FASE DEL RECUPERO) avviene il recupero, che è il modo in cui l’informazione viene estratta dal sistema. Il rapporto tra emozione e memoria ha assunto una grande importanza in seguito al fiorire della ricerca ecologica sul ricordo degli eventi autobiografici emotivamente intensi e traumatici, in particolare dalla teoria emerge una connessione tra il costrutto dell’emozione e quello del ricordo.

Nesso/contesto: Un contesto entro cui il tema della memoria e delle emozioni è calzante è quello scolastico, poiché si è visto che le dimensioni emotive influiscono sulle prestazioni cognitive e mnemoniche.

Teoria: In questo ambito emergono gli studi di Bower, che nel suo modello teorico “Associative network model” sostiene che l’emozione può influenzare il ricordo. Il modello assume che le emozioni costituiscono i nodi centrali di una rete associativa, connessi alle idee, agli eventi, all’attività neurovegetativa e a pattern specifici di reazioni muscolari ed espressive. Quando vengono appresi nuovi stimoli, essi vengono associati ai nodi attivi in quel momento. Conseguentemente, gli stimoli appresi in un particolare stato affettivo, sono collegati al corrispettivo nodo affettivo. Quando inseguito viene stimolato un nodo emotivo, l’attivazione si diffonde lungo le diverse diramazioni, accrescendo l’attivazione di tutti gli altri nodi ad esso collegati. L’attivazione di un nodo entro una certa soglia determina la consapevolezza del materiale che vi è rappresentato. In un esperimento Bower indusse in alcuni soggetti uno stato di trance ipnotica per far si che raggiungessero uno stato d’animo gioioso o triste. Una volta raggiunto lo stato d’animo desiderato, i soggetti venivano sottoposti ad una prova di apprendimento di una lista di parole, dopo di che venivano portati ad uno stato di rilassamento e venivano fatti uscire dalla trance. La rievocazione veniva poi effettuata a distanza variabile di tempo, sotto ipnosi, sia in uno stato affermativo che divergente rispetto a quello esperito nella fase di apprendimento. La rievocazione di uno stato d’animo triste di una lista di parole apprese nello stesso stato d’animo, arriva all’80 % di materiale, mentre si arresta al 45% se il materiale era stato appreso in uno stato d’animo diverso. Da ciò si deduce che la memoria viene facilitata nel caso di una concordanza tra lo stato d’animo nella fase di apprendimento e in quella di rievocazione. Mentre esiste un’inibizione di memoria nel caso di una discordanza di stati d’animo nella fase di apprendimento e in quella di rievocazione. Bower ritiene quindi che l’emozione può influenzare la memoria attraverso due effetti: Stato di dipendenza (accoppiamento dell’emozione al momento dell’apprendimento e al momento del recupero) e congruenza (corrispondenza tra la valenza affettiva dello stimolo al momento in cui ha agito lo stato affettivo al momento del recupero). Considerare l’emozione come unità attiva della memoria consente di comprendere anche una serie eterogenea di dati clinici, come la difficoltà a ricordare i sogni a causa della differente condizione emotiva fra stato di veglia e stato di sonno. Inoltre nel bambino, come nell’adulto, la dimensione emotiva svolge un ruolo imprescindibile ai fini dell’apprendimento, tanto che la decisione di trasferire le esperienze dal compartimento a breve termine a quello a lungo termine viene presa molto spesso su base emozionale.

Metodi d’indagine: Per quanto riguarda i metodi d’indagine, oltre al metodo sperimentale utilizzato da Bower, vi sono diverse batterie di test che misurano, tra gli altri fattori, anche le capacità mnestiche, come la WAIS, il Reattivo delle figure complesse di Rey, il Test di Memoria comportamentale di Rivermead, utile per evidenziare i deficit di memoria nel quotidiano. Il colloquio e le interviste, invece, permettono di indagare il vissuto emotivo del  soggetto e in che modo questo è collegato ai vari ricordi; vi è inoltre il Questionario meta cognitivo sul metodo di studio di Cornoldi che indaga la componente cognitiva, motivazionale ed emotiva dell’apprendimento.

Risvolti applicativi: Gli ambiti applicativi sul tema della memoria ed emozione sono svariati. Alla luce delle precedenti considerazioni sulla facilitazione del ricordo a seguito di particolari stati emotivi sono importanti le tecniche mnemoniche finalizzate a favorire un uso più efficiente della funzione mnestica. A livello clinico, invece memoria ed emozioni sono rilevanti nell’ambito dei disturbi psicologici. I disturbi della memoria si trovano spesso in pazienti psicotici gravi, dove il disturbo legato soprattutto alla memoria a breve termine, è particolarmente connesso a difficoltà di attenzione verso il mondo esterno. Per quel che riguarda le emozioni, esse ricoprono un ruolo chiave nel campo della psicopatologia: esistono infatti forme di schizofrenia in cui l’individuo mostra riduzione o una completa assenza di emotività. È anche importante osservare la congruenza tra il vissuto emotivo che l’individuo mostra e quello che comunica verbalmente. In ambito scolastico il tema della memoria e emozioni è particolarmente pregnante, infatti si è visto che nel bambino la dimensione emotiva svolge un ruolo imprescindibile ai fini dell’apprendimento tanto che la decisione di trasferire le esperienze dal compartimento della memoria a breve termine a quello a lungo termine viene presa molto spesso su base emozionale. Il bambino può apprendere solo se si trova in un contesto rassicurante e sereno che consentirà l’attivazione di efficaci meccanismi di ritenzione mnestica e favorirà l’associazione positiva tra il materiale da apprendere e il contesto di apprendimento. Le emozioni positive sono determinanti nel desiderio di apprendere, e giocano un ruolo primario soprattutto nella seconda infanzia quando si innescano meccanismi di memoria cosciente e volontaria.