Mese: <span>Marzo 2017</span>

Arrival – Il linguaggio può cambiare la tua mente

Arrival – Il linguaggio può cambiare la tua mente

Il linguaggio può cambiare la nostra mente. Domandatevi da dove venite e cosa volete. Fate altrettanto con il vostro vicino di casa, o con la donna che sta giocando al cellulare sul sedile accanto al vostro nel vagone della metropolitana. Una domanda così semplice si basa su una lunga serie di presupposti condivisi: conoscere il significato delle parole utilizzate, conoscere la forma interrogativa di una frase, condividere lo stesso idioma. Semplice, starete pensando. Al massimo vi toccherà improvvisarvi in una lingua straniera che avete appreso al liceo o poco dopo.

Immaginate ora di dover porre la stessa domanda a degli alieni.

Sono appena sbarcati sulla terra. Dodici astronavi denominate “gusci” sono approdate su altrettanti siti terresti. Da questi velivoli monolitici non proviene alcun segno di vita, radiazione o rumore. Ma ogni 18 ore una sorta di portale si apre sul fondo dei velivoli, quasi un invito a entrare.

Per questo Louise Banks viene contattata dall’esercito statunitense e trasportata nel Montana. Louise è una linguista. Il suo compito è quello di domandare agli alieni lo stesso quesito che vi ho chiesto di rivolgere a voi stessi o a un vicino. Ma da dove si comincia a costruire una forma di comunicazione, quando si proviene da mondi diversi, e non si condivide quasi nulla?

Louise, aiutata dal fisico teorico Ian Connelly, scopre che gli alieni sono in grado di comunicare visivamente attraverso una lingua scritta, circolare, che al contrario di quelle umane, non ha una direzione di lettura, e quindi, in senso più ampio, presuppone una concezione del tempo circolare. Presente, passato e futuro esistono contemporaneamente nella mente del parlante. Louise, grazie alla teoria Sapir–Whorf, comprende che il linguaggio utilizzato dagli alieni determina non solo il loro modo di pensare, ma il funzionamento stesso della loro mente. E Louise inizia a sperimentarlo su se stessa, e vede il proprio futuro. Ha la capacità di vedere ciò che deve ancora accadere, e in base a ciò agire nel presente.

Grazie alla capacità che ha acquisito Louise viene a sapere che gli alieni, denominati “Eptapodi” sono giunti sulla terra per offrire armi. Sull’interpretazione di questa frase i popoli e i governi della Terra rischieranno distruggere il nostro pianeta. Perché l’interpretazione di una comunicazione dipende dal sistema collusivo di significati condivisi che è alla base del linguaggio che utilizziamo. Un’arma può essere molte cose, in base al contesto cui apparteniamo. Louise lo comprende bene e grazie alla sua capacità di vedere il futuro riesce ad evitare che la Cina guidi un attacco nucleare contro di extraterrestri. Ma Louise riesce a vedere anche nel proprio futuro personale, in cui sposerà Ian e avrà una figlia con lui, destinata a morire prematuramente. Nonostante Louise conosca già gli eventi tragici che la riguarderanno decide di viverli lo stesso.

Il film del 2016 di Denis Villeneuve si basa sul racconto “Storie della tua vita” di Ted Chiang. Come il racconto, il film apre molti interrogativi di natura filosofica ed etica. Mette in discussione l’universalità dei significati del mondo in cui siamo immersi e il modo stesso in cui lo concepiamo. Il grande merito del regista è aver costruito un film palindromo, che può essere “letto” dall’inizio alla fine e viceversa, rivelando soltanto al termine la natura di ciò che abbiamo appena osservato, dimostrando di aver compreso profondamente il tema del racconto di Chiang e dell’ipotesi Safir-Whorf sull’influenza linguistica.In realtà i due studiosi Edward Sapir e Benjamin Lee Whorf non presentarono mai una formulazione rigorosa della loro ipotesi, ma fu J.B. Carroll a costruirla a posteriori, nel volume “Linguaggio, pensiero e realtà”.

A dimostrazione della natura intrinsecamente interpretativa del linguaggio, la stessa teoria ha due diverse interpretazioni, una versione forte e una debole dell’ipotesi. La prima è nota come determinismo e afferma che il nostro pensiero è interamente determinato dalle strutture della lingua: “Dal momento che il segno preesiste al parlante, noi parliamo della realtà subendo il determinismo della lingua. In altri termini leggiamo la realtà extra-linguistica secondo categorie intellettuali che sono già state strutturate dal linguaggio. Astrarre, cioè organizzare la conoscenza è un tutt’uno con l’attitudine del linguaggio: ciò si vede bene dalla diversa segmentazione espressiva che lingue diverse danno dello spettro dei colori, una realtà naturale uguale in ogni luogo.Whorf stesso sosteneva che “Non possiamo parlare affatto, se non accettiamo l’organizzazione e la classificazione dei dati che questo accordo stipula […] significa che nessun individuo è libero di descrivere la natura con assoluta imparzialità, ma è costretto a certi modi di interpretazione, anche quando si ritiene completamente libero.

La versione debole della teoria è definita relativismo. Le strutture delle lingue eserciterebbero un’influenza sul processo di categorizzazione mentale di chi parla. Sapir scrisse: “Se si tracciano dozzine di linee di forme differenti, le si nota subito come classificabili nelle categorie di “rette”, “contorte”, “curve”, “zigzag”, perché i termini linguistici contengono in se stessi un carattere stimolante la classificazione. Noi vediamo e udiamo e facciamo altre esperienze in un dato modo in gran parte perché le abitudini linguistiche delle nostra comunità ci predispongono a certe scelte di interpretazione.”Che propendiate per l’una o l’altra interpretazione della teoria d’ora in poi sappiate che la lingua che usate ogni giorno non è così neutra e ovvia come avete sempre immaginato. Ogni volta che parliamo forniamo una rappresentazione simbolica e tangibile della nostra mente e del modo in cui concepiamo il mondo.

 

Dott.ssa Valeria Colasanti

Riceve su appuntamento a Roma e a Villanova di Guidonia (LT)(+39) 3488197748

http://www.mymovies.it/film/2016/storyofyourlife/

 

 

Adolescenza – istruzioni per l’uso

ADOLESCENZA

Il termine adolescenza deriva dal latino adolescere, che significa crescere. Per adolescenza si intende quel periodo della vita che va dai 12 ai 22 anni c.a., e vede l’individuo impegnato ad affrontare una serie di cambiamenti che interessano il suo sviluppo:

  • Fisiologico
  • Morfologico
  • Sessuale
  • Cognitivo
  • Sociale

 

Queste trasformazioni portano il soggetto a modificare l’immagine che ha di sé e a confrontarsi continuamente con quella che hanno gli altri di lui. La difficoltà di definire/circoscrivere l’adolescenza all’interno di limiti anagrafici deriva anche dalle enormi differenze interindividuali esistenti nel modo di affrontare i compiti di sviluppo sia in termini di strategia comportamentali che di vissuti interiori.

Secondo Canestrari e Godino si potrebbe definire come la fase della vita che intercorre tra la maturazione sessuale e l’assunzione di un suolo sociale adulto e autonomo. Nelle società complesse, in cui si diviene adulti per gradi, i ruoili adulti, prima di esserre agiti sono provati per gioco. In questo senso si può definire l’adolescenza come una costruzione PSICO-SOCIALE. Tra i vari cambiamenti che l’adolescente affronta, le capacità intellettive tra gli 11 e i 14 anni progrediscono a livello qualitativo perché il giovane per la prima volta comincia a fare operazioni mentali con concetti astratti, ciò che Piaget ha definito fase delle OPERAZIONI FORMALI.

 

 

Gli ambiti applicativi in cui si studia l’adolescenza sono vari e sebbene abbiano tutti, un elevato potenziale esplicativo hanno tutti carattere parziale. Qui prenderemo in considerazioni quello clinico.

Nell’ambito della psicologia dello sviluppo Kohlberg, seguace di Piaget, ha studiato le fasi dello sviluppo MORALE nella loro relazione con le fasi dello sviluppo intellettivo. Nel livello I (UTILITARISTA) preconvenzionale tra i 3 e 7 anni: nello STADIO 1 il bambino obbedisce per evitare punizioni, quindi è sbagliato ciò che comporta punizioni. Nello STADIO 2 è giusto ciò che serve a sé, a livello strumentale.

Nel livello II (CONFORMISTA) convenzionale tra gli 8 e gli 11 anni: nello STADIO 3 è giusto agire in conformità con ciò che si è stabilito e fare ciò che gli altri si aspettano da noi. Nello STADIO 4 le leggi e i doveri vanno sempre adempiuti perché è giusto per mantenere i ruoli e il sistema. Nel livello III (AUTONOMO) post – convenzionale, dai 14 in poi: lo STADIO 5 prevede consapevolezza da parte del ragazzo che esistono molte opinioni e scale di valori. Nasce il relativismo e la libertà, ma esiste anche il concetto di valore assoluto che va oltre le scelte della maggioranza. Nello STADIO 6 nasce il proprio sistema di valori, che si fonda sulla razionalità e universaslità di principi.

Con l’adolescenza ha inizio quindi l’epoca in cui le idee prima accettate in modo acritico e conformistico sono riesaminate e ci si crea una propria opinione del mondo. Il mondo dell’adolescente, contrariamente a quello degli adulti, è fatto di COERENZA e ASSOLUTI e assumono atteggiamenti che potremmo definire ascentici.

 

Nell’ambito del modello psicoanalitico viene sottolineata invece l’importanza dell’ingresso nella sessualità adulta che comporta la riorganizzazione delle pulsioni parziali nell’ambito del primato genitale e la ristrutturazione conflittuale del mondo intrapsichico. Secondo E. Erikson il compito principale in adolescenza o DILEMMA CRUCIALE di questo periodo è l’acquisizione di una identità autonoma. Il soggetto è spinto a ridefinire e riorganizzare il proprio sé rispetto a se stesso e agli altri. Secondo Erikson il processo di formazione dell’identità si realizza attraverso il passaggio di alcune fasi:

  • In adolescenza si passa da uno stato di diffusione dell’identità a uno di acquisizione di identità. Il primo è caratterizzato da 2 modalità relazionali: SPERIMENTAZIONE e IDENTIFICAZIONE. La prima permette al soggetto di provarsi in RUOLI diversi e recitare più copioni sociali confrontandosi con diverse regole e valori;
  • Parallelamente l’adolescente moltiplica le sue relazioni aggiungendo alle figure primarie altri oggetti di interesse, come altri adulti e coetanei. All’interno di queste figure può identificarsi e riconoscere parti di altri come interessanti per sé.
  • Erikson chiama questo gioco di identificazioni MORATORIA PSICOSOCIALE, in cui l’adolescente si definisce e acquisisce l’identità attraverso un gioco di identificazioni.
  • Questo processo comporta una SCELTA e l’ELABORAZIONE di una sintesi originale delle diverse parti di sé che il ragazzo ha riconosciuto identificandosi con gli altri.

La teoria di Erikson è stata criticata da diversi autori tra cui Bosma; Jackson e Coleman, i quali hanno sottolineato come per l’autore la formazione dell’identità avverrebbe in termini assolutistici, di tutto o niente, mentre per loro questo processo sarebbe continuo e si realizzerebbe attraverso ripetute crisi, esplorazioni e riorganizzazioni.

Diversamente da Erikson, Marcia, attraverso interviste a soggetti adolescenti riguardo diversi ambiti della vita, individua 4 STATI dell’IDENTITA’ che corrispondono a 4 MODALITA’ DI RAPPORTARSI AGLI EVENTI da parte dell’adolescente:

  • IDENTITA’ ACQUISITA: vi si trova chi ha operato una scelta sondando attraverso la sperimentazione le diverse alternative possibili;
  • MORATORIUM: fase della sperimentazione in cui non si è ancora elaborato una scelta, sebbene sia presente una riflessione sulle alternative;
  • BLOCCO DELL’IDENTITA’: chi elabora sclete in vari ambiti della vita e assume gli impegni conseguenti senza ESPLORARE alternative possibili. È una adesione acrititca ai primi modelli identificativi (i genitori);
  • DIFFUSIONE DELL’IDENTITA’: chi mette in atto molteplici comportamenti esplorativi superficiali, senza riflessione, e non finalizzati a una vera scelta e impegno futuri.

Seguendo gli studi di Erikson e Marcia possiamo affermare che gli adolescenti devono definire la pripria identità sociale e individuale, sperimentandosi quindi in un ambiente sociale più ampio di quello infantile. Il legame con i pari offre un sostegno fondamentale nell’affrontare questo percorso di individuazione-separazione.

Le RELAZIONI SIMMETRICHE con gli amici gli permettono di:

  • Esplorare l’esterno attività condivise e sperimentare nuove capacità;
  • Scoprire il proprio sé, scoprendo nuovi aspetti di sé e imparrando ad aiutovlutarsi in base al giudizio altrui

Inoltre cambia anche la tipologia di amicizie. Mentre nell’infanzia si fondavano sulla condivisione di attività, ore si basano su condivisione emotiva e lealtà. In ambito sociale lo studio dell’adolescenza nella comprensione dei comportamenti trasgressivi assume una grande valenza applicativa.

Metodi di indagine: molti studi hanno esplorato l’AUTOEFFICACIA REGOLATORIA, ovvero la convinzione di essere capaci di resistere alle pressioni trasgressive dei compagni, ed è stato verificato che tale efficacia è risultata negativamente associata con la messa in atto di varie forme di comportamenti a rischio da parte dell’adolescente. Nello studio di SMORTI et all. del 2010, sono state valutate diverse caratteristiche personali degli adolescenti tra cui anche l’AUTOEFFICACIA REGOLATORIA. Rispetto al consumo di droge sono emerse differenze significative in termini di A.R. tra i vari gruppi sociali (non consumatori, consumatori occasionali e consumatori abituali). Lo stesso è emerso per l’uso di alcolici. In generale lo studio verifica come chi fa uso di queste sostanze risulta avere una A.R. significativamente inferiore rispetto a chi non ne fa uso.

 

 

 

 

 

Carcinofobia – l’attualità dell’ipocondria

La paziente D.M. ha 32 anni e mi è stata inviata dal suo medico di base. Ve la porto come esempio di quello che, a mio parere, è un disturbo molto frequente nel panorama più vasto dell’ipocondria, o come è stata rinominata nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali giunto alla sua V edizione (DSM V), il Disturbo d’Ansia di malattia. La carcinofobia o la cancerofobia è una paura ossessiva di ammalarsi di cancro. La prima volta che sono stato contattato telefonicamente dalla paziente è stato il 3 dicembre dello scorso anno.

Lei piangeva disperatamente. Mi comunicò il timore di avere un cancro al colon, insorto subito dopo che al padre era stato scoperto un nodulo alla gola il quale però, in seguito ad analisi più approfondite, era risultato essere benigno. Pensai allora che la paziente possedesse buone capacità di autoanalisi considerando che era riuscita, in modo autonomo, a collegare i due eventi. La telefonata durò più o meno un quarto d’ora e D.M. mi raccontò che da quando aveva sviluppato questa convinzione, ogni volta che andava al bagno, non poteva fare a meno di controllare le proprie feci per verificare se vi fossero tracce di sangue. Mi disse inoltre che doveva esserci per forza qualcosa di malato in lei, perché effettivamente percepiva delle fitte fortissime a livello addominale. Sebbene tutte le analisi prescritte dal suo medico non riportassero nulla di significativo, e anche se tutti cercassero di farla ragionare sull’inconsistenza delle sue paure, lei non trovava pace. Al telefono spiegai alla paziente che ero convinto che lei sentisse davvero quei dolori addominali e che non credevo che fossero solo nella sua testa. Ma così come nel caso di una forte ansia o di un attacco di panico possono essere percepiti realmente dei forti dolori al petto, così anche nel suo caso quei dolori potevano essere causati dalla somatizzazione di un malessere mentale. Le dissi che lavoro al policlinico Gemelli dove ho a che fare spesso con pazienti oncologici e i loro familiari e frequentemente accade che quando qualcuno vicino a noi scopre di avere questo male, o nel suo caso che vi sia il sospetto che ce l’abbia, il parente subisce un contraccolpo psicologico da non sottovalutare. A Queste parole la paziente smise di piangere e placò la sua ansia, questo perché aveva bisogno di una spiegazione emotiva piuttosto che razionale.

L’ansia in quanto emozione non può essere razionalizzata, ma solamente capita perché la si possa gestire. Avere paura di essere affetti da malattie senza che vi siano evidenze empiriche è una forma d’ansia e di conseguenza è necessario ricercare l’origine dell’angoscia piuttosto che persistere nel dimostrarne l’irrazionalità. Le possibili cause di un esordio ipocondriaco, possono essere molteplici e non necessariamente vicine temporalmente al manifestarsi delle ansie. Queste paure possono riguardare qualsiasi tipo di malattia, oppure come in questo caso, focalizzate su una specifica patologia. È altamente probabile che dietro quest’ ultima vi sia uno o più lutti non risolti, mai elaborati. Sebbene chiunque di noi può essere più o meno spaventato di fronte ad una grave malattia come il tumore, le persone carcinofobiche ne sono ossessionate. Tra chi è affetto da tale disturbo vi sono pazienti che fanno check up spesso passando la propria vita tra esami clinici e consulti medici e chi vive costantemente nella convinzione di essere malato, ma preferisce non sapere, in parte per paura e in parte perché ha bisogno di mantenersi nell’incertezza. Si può fare anche un’ulteriore distinzione tra chi ha paura della malattia perché l’ha vissuta, è ormai guarito ma teme che ritorni e chi, invece, non l’ha mai avuta. Nel primo caso lo stravolgimento della propria vita alla notizia di essere affetto da tale malattia e di tutto quello che ne è conseguito, ha messo in moto un meccanismo dal quale è difficile uscire, anche quando fisicamente si è fuori pericolo di vita. Il secondo caso invece è quello della paziente D.M. Andando a scavare nel suo passato è emerso il lutto di una zia a lei molto vicina e sorella della madre. La zia della paziente è deceduta proprio per un tumore al colon, quando quest’ultima aveva sette anni. La donna spesso accompagnava la madre al capezzale della malata, assorbendo molto di più di quanto allora potesse comprendere data la sua tenera età. La notizia che il padre potesse essere malato, come aveva intuito subito la paziente, è paragonabile all’esplosione di una bomba, sepolta da 25 anni. Ormai sono due mesi e mezzo che vedo D.M. e lei non ha più quel comportamento compulsivo di controllare le sue feci alla ricerca di sangue e le fitte addominali, anche se vanno e vengono, non sono più frequenti e forti come prima, ma soprattutto, è riuscita a capire che è tutta una sua paura. Con questo non intendo che il lavoro sia finito, così come non intendo spiegare questo genere di disturbi solo attraverso l’elaborazione di lutti irrisolti, ma sicuramente i primi miglioramenti della paziente in questione sono avvenuti dopo la seduta in cui abbiamo parlato della zia.

dott. Andrea Rossetti

Per approfondire:

 

De Lacoste G.D. (2009) “L’ipocondriaco” Roma: Castelvecchi ed.

Molière, “Il malato immaginario”, Ed. Garzanti, 2011