
Depressione – una condizione ontologica dell’uomo?
Depressione – una condizione ontologica dell’uomo?

“La sofferenza è una specie di bisogno dell’organismo di prendere coscienza di uno stato nuovo.” Lo scrisse Marcel Proust, nel terzo volume dell’opera “Alla ricerca del tempo perduto”. La sofferenza è spesso accomunata all’atto della conoscenza, all’avvicinamento alla verità della condizione umana. In termini più psicologici e meno filosofici essa potrebbe essere ben descritta con la definizione fornita da Melanie Klein della posizione depressiva. Secondo l’Autrice il bambino è un essere immerso in un universo di emozioni disturbanti, di angosce disgreganti, dalle quali egli si difende allucinando l’oggetto in grado di procurargli un sollievo, ovvero il seno buono. Tutto ciò che è associato con lo stato di frustrazione sperimentato dal bambino viene identificato come seno cattivo, l’assenza stessa della madre diviene una sua manifestazione, come pure gli stati fisiologici dolorosi interni. “L’insieme dei desideri istintuali e delle fantasie inconsce fanno si che al seno vengano attribuite delle qualità che vanno ben oltre il nutrimento che esso in realtà fornisce.” Lo sviluppo psicologico del bambino viene descritto dalla Klein come un passaggio tra due differenti posizioni. Per posizioni ella intende uno stato di organizzazione dell’Io in rapporto alle sue relazioni con gli oggetti, alla natura dell’angoscia e alle difese che vengono attivate per controllarla.
Durante i primi quattro mesi di vita il bambino si troverebbe nella posizione definita schizoparanoide, in cui egli sperimenta le prime relazioni con gli oggetti, ma non sono oggetti interi, bensì parziali. Nel bambino esiste già un conflitto generato dall’opposizione tra pulsione libidica e pulsione di morte. L’Io del bambino si protegge dall’angoscia derivante dalla pulsione di morte proiettandone una parte sull’oggetto esterno definito come seno cattivo, mentre un’altra parte è trattenuta all’interno dell’Io e trasformata in aggressività. Il seno cattivo coesisterà con quello buono in una rappresentazione scissa della madre. Il superamento di questa posizione avviene quando il bambino riuscirà ad integrare il seno buono e quello cattivo in un unico oggetto, altro da sé, separato e distinto, esistente al di là del suo volere e desiderio, in relazione con gli altri oggetti. La madre è sia buona che cattiva, esattamente come il bambino, che viene colto da una nuova angoscia. Non più di poter essere distrutto dall’oggetto, ma di poterlo danneggiare e distruggere con la propria aggressività. Per la prima volta, nella seconda metà del primo anno di vita del bambino, egli sperimenta la separazione e la preoccupazione per l’altro, accedendo alla posizione depressiva. Dalla sofferenza per aver distrutto la madre il bambino apprende la possibilità di riparare l’oggetto. Nonostante l’integrazione dell’Io in questa fase egli non si libererà mai dall’ambivalenza, dalla coesistenza contemporanea di pulsioni di segno opposte per lo stesso oggetto, ma come scrisse Melanie Klein: “(…) quando l’amore può coesistere con l’odio che è stato scisso e con l’invidia, questi sentimenti diventano sopportabili e diminuiscono, in quanto mitigati dall’amore.”
Rileggendo le parole di Proust a proposito della condizione di sofferenza legata all’esperienza umana in senso ontologico, possiamo rileggere le definizioni di Melanie Klein in termini più generali. L’esperienza stessa che l’uomo fa della vita e della realtà si accompagna alla consapevolezza della separazione e della perdita dell’oggetto d’amore primario, simbiotico e parziale, da cui derivava ogni bene. La presa di coscienza della separazione si accompagna alla consapevolezza della nostra stessa capacità di distruggere e ferire e in noi coesistono contemporaneamente senso di colpa e angoscia. È probabilmente questa l’esperienza della depressione, che accomuna l’esistenza umana, dalle sue espressioni meno patologiche a quelle francamente cliniche. La differenza sta nella loro transitorietà, e nella possibilità di sostenere la propria ambivalenza “mitigandola” con la possibilità di provare amore. È forse l’amore che viene a mancare nella condizione depressiva, amore per sé e per l’oggetto, in un delirio di rovina che non lascia scampo alla speranza.
Bibliografia:
Vegetti Finzi, Sivia, Storia della psicoanalisi, Milano: Mondadori, 1980
Segal, Hanna, Introduzione all’opera di Melanie Klein, Firenze: Martinelli-Psycho, 1998
Spillius, Elizabeth Bott, Melanie Klein e il suo impatto sulla psicoanalisi oggi, vol. 1. La teoria, Roma: Astrolabio, 1995
PROUST, MARCEL, Alla ricerca del tempo perduto (vol.III), I meridiani, Mondadori, 1989
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