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Ipnosi – l’arte di mettere

Ipnosi

L’arte di mettere

 

 

L’ipnosi, secondo Sigmund Freud, può essere paragonata alla pittura, perché in essa di procede per “via di mettere” anziché per via di levare. Si tratta di uno stadio alternativo a quello di veglia o di sonno, con proprie caratteristiche fisiologiche e di attività neurologica, che viene indotto da un operatore esterno, oppure autoindotta, caratterizzata da uno stato psichico denominato trance. La storia dell’ipnosi inizia nell’era precristiana, che abbonda di esempi di induzione ipnotica attraverso canti e danze rituali. La storia scientifica dell’ipnosi invece può essere fatta inizia da Anton Mesmer che tra la metà del XVIII e l’inizio del XIX secolo propone la teoria del magnetismo animale, secondo la quale alla base della malattia si sarebbe un turbamento della corrente nervosa presente nell’organismo. Successivamente James Braid definì ipnotici i fenomeni che si verificavano nei soggetti “magnetizzati” causati da uno stato di affaticamento cerebrale indotto attraverso tecniche particolari, come quella molto cara al mondo del cinema, della trance indotta attraverso l’oscillazione di un oggetto splendente davanti agli occhi del paziente. Soltanto con il lavoro di Charcot l’ipnosi accede all’ambito scientifico, grazie alle sue ricerche sull’isteria presso l’Accademia delle scienze di Parigi. Charcot ipotizzò che nelle paralisi isteriche, reversibili, come quelle provocate ipnoticamente, dovessero esistere delle lesioni funzionali del sistema nervoso, analogamente a quanto avveniva nelle paralisi organiche, irreversibili, dove esistevano specifiche lesioni cerebrali. Charcot credeva che lo stato ipnotico fosse uno stato isterico provocato artificialmente.

Secondo Hippolyte Bernheim, invece, l’ipnosi era uno stato psicologico e la identificò come uno stato “d’accentuata suggestionabilità”, dipendente dalle caratteristiche del soggetto, dall’influenza esercitata dall’operatore e dai suggerimenti che da al paziente. Infine Sigmund Freud studiò i fenomeni ipnotici, essendo stato egli stesso allievo di Charcot, liquidandoli però velocemente come prodotti della suggestione, ed abbandono l’ambito di ricerca dopo essersi dedicato alla psicoanalisi.

Per ipnosi si intende un processo di guida da uno stato di veglia ad uno stato di trance: uno stato mentale naturale, diverso dagli stati di veglia o di sonno, in cui la recettività a stimoli esterocettivi e propriocettivi è dissimile nella elaborazione e nelle possibilità di realizzazione (Di Bertolino R.A., 2012). L’ipnosi può produrre nel paziente il passaggio da uno stato di veglia ad uno stato di trance. Per aiutare il paziente nella trance ipnotica occorre fornirgli suggestioni sensoriali e mentali che suggeriscano uno stato di calma, proponendo stimoli di natura neuro-psico-fisiologica, in modo che il paziente possa abbandonarsi alla trance. La trance ipnotica è uno stato di coscienza naturale, in cui la concentrazione della persona è più centrata, cioè diretta verso di sé, guidata dal terapeuta, permette alla persona di accedere alle risorse personali e trovare un nuovo stato di benessere

Tale stato può essere eteroindotto, tramite ipnosi, permettendo al terapeuta di influire sullo stato del paziente a livelli diversi psichici e comunicativi. L’ipnosi auto-indotta invece, definita autoipnosi, è uno strumento di autoinduzione allo stato di trance che l’individuo adopera autonomamente tramite l’acquisizione di particolari tecniche, o in modo naturale con più o meno consapevolezza.

Ai fini della pratica l’ipnosi può essere applicata:

  • Ipnosi regressiva finalizzata a risolvere traumi o lutti
  • Ipnosi e ipnosi con flooding per risolvere paure o fobie, segnatamente relative ad interventi odoiantrici o a paure di strumenti medici (vd. siringhe e altri)
  • Ipnosi per gestire l’ansia
  • Ipnosi come supporto motivazionale durante processi di dieta
  • Ipnosi per gestire emicrania o cefalee
  • Ipnosi per gestire problemi di enuresi
  • Sostegno ed ascolto psicoagogico
  • Sostegno ed ascolto psicoagogico per pazienti affetti da malattie neurologiche

L’ipnosi consente al terapeuta e al paziente di stabilire un obiettivo da raggiungere, consentendo al cliente di sperimentare nuove skill e schemi di comportamento più efficaci rispetto alla finalità del trattamento durante lo stato ipnotico.

Come affermato in precedenza la trance è uno stato di coscienza diverso dalla veglia e dal sonno, a livello neurologico si osservano valori di attività delle onde θ differenti dagli altri due stati. Diminuzione l’attività dell’amigdala, aumenta l’attività dell’ippocampo, del corpo calloso e degli emisferi sinistro e destro, dalla zona frontale fino a quella occipitale, con un cambiamento di volume del rostrum nella parte occipitale del corpo calloso.

Il processo di induzione ipnotica è qui il protocollo protratto con la finalità di condurre il paziente dallo stato di veglia allo stato di trance. Questo processo può essere condotto con l’ausilio o l’adozione di diverse tecniche ipnotiche, classificate principalmente a seconda dell’uso o meno della componente verbale.

Un ambito attuale e interessante di applicazione dell’ipnosi è la gestione del dolore, post operatorio e cronico. Ai coniugi Hilgard e ai loro studi svolti negli anni ’70 dobbiamo un modello teorico che dimostra l’esistenza di una correlazione diretta tra il grado di ipnotizzabilità di un soggetto e il livello di analgesia che egli può raggiungere in stato di trance. Questo effetto analgesico prodotto dall’ipnosi non ha nulla a che vedere con l’effetto placebo, non è dovuto a stress o ansia o alla suggestione, né all’effetto delle endorfine.

Secondo la teoria neodissociativa lo stato ipnotico determina delle modificazioni nelle strutture di controllo cognitive, per cui i processi cognitivi dell’ipnotizzato non sono più disponibili alla coscienza ordinaria, anche se una parte dissociata dell’io ipnotico, definita come l’osservatore nascosto, mantiene la normale percezione del dolore. A causa di una barriera di comunicazione questa componente cognitiva non si manifesta (covert pain). Una seconda barriera impedisce la comunicazione fra due sottosistemi del dolore: A e B. Al sistema A competono gli indicatori involontari, ad es. quelli cardiovascolari, che perciò continuano a registrare l’esperienza; al sistema B competono le reazioni volontarie come la mimica, i vari atteggiamenti tensivi che vengono esclusi lasciando il paziente rilassato, calmo, senza apparente segno di sofferenza.

 

In sintesi, è attualmente accettato che l’ipnosi svolga il suo ruolo nel controllo del dolore attraverso eventi aspecifici quali la defocalizzazione dell’attenzione, la riduzione dell’ansia associata, e il decondizionamento. L’effetto dell’ipnosi nel controllo del dolore dipende in modo specifico dal grado d’ipnotizzabilità del paziente ed è compatibile con un sistema di controllo elettrico o neurotrasmettitoriale e questo spiega la rapidità con cui l’analgesia può essere indotta o rimossa. La condizione ipnotica sarebbe in grado di modulare dei sistemi sensoriali afferenti come la via paleospinotalamica, sopprimendo anche alcuni riflessi segmentari locali.

In una review dell’efficacia dell’ipnosi nella riduzione del dolore negli adulti con un intervento di tipo psicologico o psicosociale, è stata evidenziata, attraverso metaanalisi la validità delle tecniche ipnotiche nel controllo del dolore in pazienti malati di tumore. De Benedittis et al. hanno dimostrato in un esperimento con dolore ischemico che soggetti altamente ipnotizzabili presentavano un aumento della tolleranza al dolore del 113% verso un incremento di tolleranza di solo il 26% in soggetti scarsamente ipnotizzabili.

 

“L’ipnosi si è dimostrata capace di alleviare sia la componente sensoriale discriminativa dell’esperienza dolorosa, sia la componente affettiva. In soggetti altamente ipnotizzabili è stato osservato un maggior effetto sulla componente motivazionale affettiva dell’esperienza stessa. La scissione tra le due componenti è responsabile della attivazione d’indicatori involontari del dolore quali un aumento della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, della frequenza respiratoria, della sudorazione, ecc..” L’ipnosi ci fornisce nuove prospettive e sfide per il futuro, che dobbiamo cogliere nelle loro potenzialità curativa in primis nella gestione del dolore in pazienti cronici, come quelli affetti da patologie oncologiche o da endometriosi. Sta a noi poterle cogliere.

 

 

Bibliografia:

Di Bertolino R.A., (2012). Lo stato mentale di Ipnosi, in AA.VV.,(2012).“Rivista medica Italiana di Psicoterapia e Ipnosi, vol I, gennaio 2012.”, S.M.I.P.I., Bologna.

Antonelli Carlo, Marco Luchetti, Luigi De Trana, (2014) Associazione fra anestesia in ipnosi e anestesia convenzionale. International Journal of Clinical and Experimental Hypnosis, 62:4, 483-491

Camillo Valerio, Claudio Mammini, (2009). L’evoluzione clinica dell’ipnosi. Franco Angeli Ed.

 

http://ipnoguida.com

 

 

 

Arte terapia – portare equilibrio nelle dissonanze

Arteterapia

portare equilibrio nelle dissonanze psichiche

“L’arte crea una zona di vita simbolica che permette di trascendere il conflitto e di creare ordine nel caos, e infine, di dare piacere.” Edith Kramer scrisse queste parole nel 1971, ed è al suo lavoro e a quello di Margareth Naumburg che si deve la definizione teorica dell’arteterapia come metodo clinico psicologico. Secondo queste autrici i sentimenti inconsci di un individuo possono essere riconosciuti più facilmente in un immagine, che non nelle parole. In queste immagini vengono proiettate emozioni, vissuti, conflitti. Queste immagini quindi, alla stregua di materiale onirico, possono essere analizzate attraverso la cornice teorica della psicoanalisi o della psicoterapia dinamicamente orientata. Come l’interpretazione del sogno in psicoanalisi, lo svelamento dei significati inconsci rappresentati nell’opera artistica vengono esplicitati e resi quindi comprensibili a chi li ha prodotti, grazie alla comunicazione verbale tra paziente e terapeuta.

L’arteterapia crea un campo tripolare, in cui viene creato un oggetto terzo, non sempre tangibile, tramite il quale viene utilizzata la creatività per stimolare il dinamismo terapeutico, offrendo una grande flessibilità nelle modalità di intervento.

Questa tecnica permette il distanziamento necessario da ciò che viene prodotto negli incontri terapeutici, allontanandosene anche fisicamente in modo da permettere un rispecchiamento dei contenuti simbolici che vengono espressi. Gli incontri di arte terapia prevedono l’uso di materiali e tecniche artistiche per promuovere tre processi, quello dell’espressione, quello della comunicazione e quello dell’attivazione. Ognuno di essi è fondamentale per l’essere umano. I materiali che vengono utilizzati in questa tecnica sono vari e spaziano da quelli duri, come la creta da modellare, ai colori ad acquerello. Anche la scelta di un materiale ha significati simbolici profondi. Più il materiale è legato all’acqua e più avrà un aspetto regressivo importante. Anche le tecniche usate per la lavorazione dei materiali è legata a significati dinamici profondi. Ad esempio il tagliare o lo strappare un materiale esprime grande aggressività da parte del soggetto. Il metodo si articola in tre fasi: l’ingresso nel lavoro, con un aspetto pre-simbolico; la fase del lavoro, in cui si esprime l’aspetto simbolico; e la fase del “working through” in cui si elaborano i significati espressi nel lavoro creativo. Nella prima fase ci si trova in quello che viene definito lo stato del non immagine, in cui ci si affida alle percezioni sensoriali e alle esplorazioni dei materiali. In questo momento della terapia i materiali vengono utilizzati in quanto sensazioni, e si prepara la concentrazione necessaria alla fase successiva. Nella fase del lavoro viene realizzato il lavoro, permettendo l’espressione del mondo interno del paziente. Il lavoro creativo può presentarsi sotto varie forme e stati: quello del non immagine, in cui non si può o non si vuole realizzare un prodotto, passando alla funzione catartica, in cui l’immagine risponde ad una esigenza di espressione simbolica, fino allo stato espressivo, in cui essa “parla” dei contenuti inconsci di chi l’ha realizzata. Nella terza fase viene operata inizialmente una elaborazione silenziosa, attraverso un distanziamento da ciò che è stato prodotto precedentemente. Finalmente terapeuta e paziente possono elaborare a livello verbale l’esperienza creativa, condividendo impressioni e significati, potendo successivamente lavorare con l’immagine prodotta, modificandola e arrivando magari ad altre immagini, andandole ad iscrivere nel contesto della relazione terapeutica. Obiettivo di questa tecnica è facilitare l’immaginazione simbolica, ed entrare nel mondo interno esprimendolo a livello fisiologico, bypassando l’espressione verbale. La Kramer sostiene che “le virtù curative (dell’arteterapia) dipendono da quei procedimenti psicologici che si attivano nel lavoro creativo” rivolgendo, quindi, tutta la sua attenzione al processo creativo, ritenuto di per sé uno strumento terapeutico.Attraverso la sua esperienza sul campo, la Kramer si è resa consapevole del grande aiuto dell’arte sia nel disagio psichico, sia nella sofferenza esistenziale di chi vive in condizioni estreme. Tramite l’uso del colore e la manipolazione di differenti materiali è possibile portare “equilibrio nelle dissonanze psichiche e si lavora alla propria armonia interiore con le diverse forme, tonalità e gradazioni del colore e dell’anima.” (Giaume, 2002)

http://www.artiterapie-italia.it/

 

Cosa sono le emozioni?

 

E’ difficile formulare una definizione univoca delle emozioni alla luce delle numerose definizioni elaborate. In linea generale, quando si parla di emozione si intende indicare la componente soggettiva, la sensazione affettiva che accompagna la condotta di un individuo e che costituisce una risposta a stimolo interno o esterno. E’ caratterizzata da peculiari reazioni somatiche, vegetative e psichiche. Dal punto di vista semantico bisogna distinguere il termine “ emozione” da quello “sentimento/affetto”. Il primo indica un’esperienza affettiva intensa e di breve durata; il secondo ne indica il vissuto emotivo, più durevole, stabile e complesso.

Considerandola da vicino, l’emozione possiede diverse componenti:

  • la componente cognitiva concernente la valutazione in termini cognitivi dell’evento scatenante l’emozione;
  • la componente fisiologica che riguarda i cambiamenti fisiologici come ad esempio l’aumento del battito cardiaco o l’aumento della sudorazione;
  • la componente espressivo-motoria che pone la sua attenzione sulle manifestazioni comportamentali osservabili dall’esterno quali ad esempio la gestualità e l’espressività del volto;
  • la componente motivazionale che considera l’emozione come una disposizione ad agire per soddisfare i bisogni;
  • la componente soggettiva che riguarda la riflessione soggettiva sul vissuto emotivo.

Non si può parlare di “primato”, sia esso cognitivo o espressivo – motorio. Ne deriva che le emozioni vanno considerate come sistemi dinamici di componenti ed è opportuno considerare tali componenti come organizzati in una struttura gerarchica.

 

Funzioni delle emozioni

  1. Funzione comunicativa intrapersonale (fornisce un sistema rapido, ad altissima priorità, parallelo a quello cognitivo per modulare la disposizione ad agire dell’organismo).
  2. Funzione comunicativa interpersonale (precede lo sviluppo del linguaggio e successivamente può accompagnarlo)
  3. Fanno da di ponte tra il fisiologico e lo psichico (informa il sistema conscio di alcuni valori di base utili per l’equilibrio del sistema)

 

 

Molte sono le teorie che a partire dalla fine del XIX secolo sono state formulate, ma nessuna di esse considera l’emozione nella sua globalità.
Le teorie psicofisiologiche delle emozioni

  • Teoria viscerale o periferica delle emozioni di James e Lange (1884): di fronte a stimoli ambientali di tipo emotivo, il nostro organismo risponde con delle reazioni viscerali e neurovegetative. La  percezione di tali modificazioni organiche periferiche genera l’emozione (es.: si  ha paura perché si trema). In sostanza il vissuto emotivo non sarebbe altro che una specie di interpretazione soggettiva alle variazioni del sistema nervoso periferico, che sono a loro volta risposte riflesse automatiche a stimoli provenienti dall’esterno. Si chiama periferica perché suppone che il punto di partenza di tutta la catena non sia il SNC, ma la sua periferia. Numerosi esperimenti hanno tuttavia dimostrato che questa teoria è certamente incompleta, se non interamente falsa.
  • Teoria centrale di Cannon-Bard (1927): l’origine dell’emozione è tutta dentro il cervello, nella regione talamica. I segnali nervosi provenienti da essa sarebbero in grado sia di provocare l’attivazione delle risposte espressivo-motorie sia del sistema viscerale. Tale teoria è stata sottoposta a numerose verifiche psicofisiologiche, che hanno evidenziato che la stimolazione delle zone individuate da Cannon effettivamente innesca la sequenza comportamentale tipica delle diverse emozioni, ma il “vissuto emotivo” ha sede in zone meno primitive del cervello, in strutture che sono a ponte tra i nuclei dell’ipotalamo e la corteccia cerebrale.
  • Il circuito di Papez (1937): ipotalamo, talamo, giro cingolato e ippocampo sono i centri di elaborazione e controllo delle emozioni. Successivamente questo circuito fu integrato con altre strutture cerebrali (amigdala, nuclei del setto, corteccia orbito-frontale e gangli della base) e fu denominato circuito limbico da MacLean (1949). Elaborazione, regolazione delle emozioni e svolgimento di funzioni essenziali per la sopravvivenza dell’organismo
  • Teoria dell’attivazione (o teoria dell’arousal) di Lindsley (1970): l’emozione coincide con uno stato di attivazione funzionale (cioè un’aumentata attività bioelettrica del sistema nervoso sia centrale, sia periferico). Questo stato di attivazione (visibile dal tracciato elettroencefalico) non sembra diversificato passando da un tipo di emozione all’altro, né sembra diversificato quando opera una motivazione biologica (come la fame o la sete). Questa teoria ha un carattere un po’ troppo generale.
  • Oggi l’emozione è vista come un’attivazione dell’intero organismo, secondo un’operazione complessa messa in atto dal SN centrale, periferico ed endocrino.

 

Le teorie psicologiche delle emozioni

  • Psicologia pre-scientifica: l’emozione si contrappone all’idea di razionalità ed è considerata un fattore di perturbazione della condotta razionale dell’uomo. La razionalità era ritenuta un attributo caratteristico e nobilitante dell’uomo, in contrasto all’emozione-perturbazione ritenuta un attributo animalesco e non degno di studio. L’interesse per le emozioni era solo poetico e filosofico.
  • Teorie evoluzionistiche:
    • Si ispirano agli studi di Darwin (1872) sull’espressione delle emozioni negli animali e nell’uomo, in cui si individuano molte affinità, ma anche molte differenze. Per esempio aveva sostenuto l’universalità dell’espressione facciale delle emozioni, affermando che nei primati superiori era rinvenibile un tipo di mimica facciale molto simile a quella
    • Le emozioni avrebbero un ruolo molto importante nell’adattamento della specie all’ambiente, sia perché preparano a reagire in modo efficace alle situazioni che hanno suscitato le emozioni, sia per la loro funzione comunicativa
    • Ekmane Friesen (1969) confermarono le intuizioni di Darwin circa l’universalità delle espressioni facciali, tenendo conto anche dell’influenza culturale sull’espressione facciale delle emozioni: le differenze culturali non sarebbero da ricercarsi nel comportamento espressivo in sé, ma nelle regole che governano l’espressione emotiva nelle diverse situazioni sociali e negli stimoli esterni. Ekman, a tal proposito, ha elaborato una teoria “neuro-culturale” dell’espressione facciale delle emozioni (1971) presuppone che negli individui ci siano dei programmi di risposta facciale specifici per l’emozione, con base genetica, codificati a livello neuronale e responsabili di tutte le risposte del SNC e SNA.  Queste espressioni producono reazioni sia nell’attore sia nell’osservatore. Le norme culturali regolano, in parte, l’espressione delle emozioni. Le regole d’espressione o Display Rules sono regole di esibizione culturalmente determinate e frutto di apprendimento di determinati modelli comportamentali.
      Alcune società più di altre richiedono, per esempio, che l’espressione delle emozioni (specie negative) riguardi la sfera privata degli individui e non la loro immagine pubblica. Un famoso esperimento di Ekman (1973) mostrò che i soggetti giapponesi più di quelli americani cercavano dì controllare la loro espressione facciale dì fronte ad emozioni negative se in compagnia di un compatriota.

      • FACS (Facial Action Coding System) di Ekman e Friesen (1978): metodo per studiare scientificamente le espressioni facciali delle emozioni. Scompone in modo analitico le diverse componenti cinestesiche di una particolare espressione e individua le unità di azione del volto in superiore (sopracciglia, occhi, fronte) e inferiore (mento, bocca, naso, guance). Ha permesso di distinguere le emozioni di base dalle emozioni secondarie. Non è l’unico metodo, ma è certamente quello più noto e completo.
    • Ekman (1992): Teoria delle emozioni di base o fondamentali.
      • Le emozioni sarebbero relativamente POCHE (circa 6): felicità, tristezza, rabbia, paura, disgusto e sorpresa. Tutte le altre emozioni esistenti deriverebbero da queste e dipenderebbero dalla cultura e dall’apprendimento.
      • Sono INNATE (hanno un’origine BIOLOGICA) e UNIVERSALI, cioè uguali in tutte le culture. Ekman e Friesen effettuarono uno studio molto importante: sottoposero al giudizio di un gran numero di giudici provenienti da molte nazioni e di aree socioeconomiche diverse, delle espressioni facciali da loro prodotte. Poi studiarono i giudizi di individui provenienti da due società “primitive” della Nuova Guinea. Produssero un gran numero di dati che confermarono l’accordo di giudizio e quindi l’universalità.
      • Le emozioni costituiscono delle entità DISCRETE, cioè sono distinte le une dalle altre, essendo caratterizzate da configurazioni ben specifiche, a livello espressivo, fisiologico, motivazionale ed esperienziale
      • Vantaggi e svantaggi: la teoria è molto coerente, ma è anche molto rigida e vulnerabile e non per tutti i punti vi è una dimostrazione certa.
    • Teorie costruzionistiche:
      • Le emozioni hanno un’origine CULTURALE: non sono entità biologicamente determinate, ma sono costruite in base ai valori di una data società
      • Sarebbero quindi INFINITE, o comunque VARIABILI secondo le culture
      • Gli autori di queste teorie si oppongono ai sostenitori delle emozioni di base
      • Harré (1986): sono il linguaggio e la struttura dei valori delle società a determinare le emozioni, come è testimoniato dall’analisi del lessico emotivo: le denominazioni delle emozioni variano sensibilmente nelle varie epoche storiche e nelle diverse culture
      • Averill (1985):
        • l’amore romantico, puro, altruistico della nostra cultura non è universale, ma ha un’origine storica che risale all’amor cortese medievale. L’amore per come lo si intende oggi è un processo di costruzione.
        • rifiutando la riduzione dell’analisi delle emozioni a livello prevalentemente biologico, l’autore ha proposto un modello esplicativo generale, definito modello costruttivista delle emozioni, che integra gli aspetti psicologici e psicosociali con quelli biologici in un processo unitario. L’autore definisce le emozioni come “ruoli sociali transitori”, e considera la loro espressione comportamentale come derivato funzionalmente significativo, non di una selezione biologica darwiniana, ma di un sistema socio-culturale.
      • Teorie comportamentiste:
        • Si sono occupate degli aspetti fenomenici dell’emozione, cioè del comportamento emotivo
        • Watson (1929), teoria dello stimolo specifico: l’emozione è un riflesso comportamentale che si attiva di fronte a specifici stimoli (nei termini S-R) e dirige il comportamento. Egli individua 3 emozioni fondamentali che si instaurano già nella fase neonatale: la paura come risposta a rumori molto intensi e di pericolo e che innesca la fuga, la collera come risposta al disagio provocato da fasciature troppo strette e che innesca l’attacco, l’amore come risposta alle carezze e al dondolamento che innesca benessere. Tutte le altre emozioni si instaurano nell’organismo mediante un processo di condizionamento a partire dalle 3 emozioni primitive. METODO SPERIMENTALE: somministrava lo stimolo al neonato e osservava la sua reazione emotiva. Grave difetto di metodo, però: conoscendo lo stimolo somministrato al bambino, il rischio era quello di proiettare sul bambino ciò che lui stesso avrebbe provato.
      • Teorie psicoanalitiche:
        • Emozioni come processo inconscio profondo, di cui solo la parte più contestualizzabile giunge alla coscienza.
        • Freud: fenomeni di lunga durata, con un’origine essenzialmente interna, esse svolgono un ruolo fondamentale nella strutturazione della personalità e sono una chiave d’accesso all’inconscio. L’affetto può anche essere all’origine delle nevrosi, quando, in seguito ad un trauma, la componente ideativa del ricordo viene rimossa e la componente affettiva subisce un processo di conversione o spostamento o, nel migliore dei casi, di sublimazione.
        • Klein: descrive stati affettivi, quali amore, odio, invidia, gratitudine, volontà di riparazione, come le principali emozioni vissute dal lattante nel suo primo relazionarsi con il mondo.
        • Winnicott indaga concetti quali attaccamento, separazione, amore e perdita e suggerirà, come tecnica di cura, l’holding, soprattutto per i soggetti con problematiche irrisolte risalenti a stadi primari dello sviluppo
        • Evoluzioni importanti e recenti sono la teoria dell’attaccamento di Bowlby e i contributi di Trevarthen sulle emozioni nei primi anni di vita
        • L’orientamento psicoanalitico ha recentemente incluso anche lo studio delle emozioni cosiddette quotidiane, come l’analisi della solitudine di Masud-Kahn, della nostalgia di Sohn, dell’invidia e della gelosia di Spielman.
        • Wilma Bucci e la teoriadel codice multiplo (vedi tema specifico Alessitimia)
      • Teorie cognitive:
        • La risposta emozionale dipende dal processo di valutazione cognitiva (“appraisal”) dell’informazione in ingresso, cioè di elaborazione della sua valenza e della sua rilevanza per lo scopo che vogliamo raggiungere
        • Non sono universali ed innate
        • Sono adattive: insorgono nelle situazioni in cui accade qualcosa d’importante per l’individuo e servono a prepararlo e motivarlo a rispondervi adattivamente
        • Non sono simili ai riflessi, cioè non sono semplici risposte a stimoli situazionali, ma rispecchiano le implicazioni personali di una persona, le sue conoscenze, la sua esperienza passata. Per questo alla stessa situazione individui diversi possono avere risposte emozionali diverse e uno stesso individuo può avere reazioni diverse in situazioni simili tra loro
        • Il risultato della valutazione cognitiva organizza le altre componenti della risposta emozionale, come l’espressione facciale, l’attività autonomica, la tendenza all’azione e il vissuto soggettivo, col quale l’individuo diventa cosciente della sua emozione e la denomina come paura, rabbia, ecc.
        • Teoria cognitivo-attivazionale o dell’etichettamento di Schachter e Singer (1962): considerano fondamentale il processo di valutazione cognitiva. Gli autori evidenziano che il soggetto attribuisce ad uno stimolo un valore di attivazione (arousal) e successivamente assegna alla situazione un significato emotivo invece che un altro.
          In sostanza, l’attivazione non é sufficiente per avere un’ emozione, é il processo di attribuzione del significato che la definisce. Secondo questa teoria, proviamo un’emozione quando designiamo con un’etichetta  lo stato diffuso di attivazione; questo stato di attivazione quindi è generalizzato fino a quando non lo colleghiamo cognitivamente con una interpretazione relativa all’emozione.
        • Teoria cognitivo-fenomenologica di Lazarus (1982): perché compaia un’emozione è necessario il processo di valutazione cognitiva, ossia la valutazione dell’impatto che gli eventi hanno sul proprio benessere. Se tale valutazione appare insignificante, non c’è attivazione emozionale. Le emozioni sono stati complessi e organizzati, in cui sono distinguibili 3 componenti espresse nel fenomeno unitario dell’emozione:
          • una valutazione cognitiva dello stimolo
          • l’impulso all’azione
          • la reazione fisiologica associata.

Diverse configurazioni di queste tre componenti danno le diverse emozioni.

  • Agli inizi degli anni ’80 è stata molto vigorosa la polemica tra Zajonc e Lazarus. Il primo sosteneva che lo stimolo, in seguito alla registrazione sensoriale, dà luogo ad una risposta affettiva. Il secondo sosteneva che tra percezione dello stimolo e la risposta affettiva vi fosse la valutazione cognitiva. Tale contrapposizione è stata superata poiché il dibattito attuale considera le emozioni come influenzate da molteplici componenti
  • Plutchick (1980): i processi cognitivi si sviluppano a partire dalle esperienze emozionali, intese come la prima forma attraverso cui l’organismo si orienta nel suo ambiente al fine di soddisfare i suoi bisogni biologici. Inoltre egli distingue 8 emozioni primarie creando il “solido delle emozioni”. Ciascuno degli 8 spicchi verticali rappresenta un’emozione fondamentale, collocata in posizione centrale rispetto alle 3 sezioni in cui è diviso lo spicchio, le quali sezioni rappresentano l’intensità dell’emozione, che decresce dall’alto verso il basso (es: dolore, tristezza, pensosità). Dalla sezione trasversa del solido si ottiene la “ruota delle emozioni”, divisa sempre in 8 parti. Due emozioni primarie adiacenti si mescolano dando un emozione secondaria, o mista.
  • Intelligenza emotiva: vedi tema specifico.

 

Sviluppo delle emozioni

Studi di Watson: grave errore di metodo.

Studi successivi (Scherman): non è possibile distinguere le tre classi di risposte emotive ipotizzate da Watson. Nel bambino esiste solo una reazione emotiva, l’eccitazione generale. Poi le proiezioni degli adulti forzerebbero tale eccitazione generale in schemi noti (paura, gioia…).

Studi della Bridges (1932): la manifestazione emotiva del neonato fino a circa sei settimane di vita non è altro che un’eccitazione indifferenziata. Essa si sviluppa poi, nei primi mesi di vita, prima in due alternative (positiva e negativa), in seguito differenziandosi nelle emozioni fondamentali e in quelle più complesse, grazie all’apprendimento ma anche alla maturazione fisiologica, percettiva e cognitiva, del bambino.

All’inizio della vita l’efficienza del sistema sensoriale nel raccogliere e discriminare i segnali esterni non è molto buona (a 5 sett. riesce a vedere in modo nitido solo gli oggetti posti a distanza limitata, come il viso della madre quando lo prende il braccio). In generale il bambino non risponde agli stimoli esterni, ma solo a  quelli interni (molte ricerche sperimentali e cliniche dimostrano che egli è incapace di distinguere tra ciò che è parte di sé e ciò che esterno a sé). Il neonato non possiede una chiara percezione dei limiti del proprio corpo e tende a reagire agli stimoli sempre nello stesso modo.

  1. Reazione globale (fino a 6 settimane)
  2. Diversificata in positiva e negativa, corrispondenti allo schema di Bridges di contentezza e disagio (3-4 mesi)
  3. Si raffina e si articola in tutte le sfumature che possiamo vedere nell’adulto (2 anni)

E’ fondamentale il ruolo materno durante i primissimi mesi di vita del bambino: la sua capacità di riconoscere bisogni ed emozioni del bambino determina la salute psichica del piccolo (es. concetto di rêverie di Bion, di holding di Winnicott): amore, cure, sostegno, attenzioni, contenimento, contatto e presenza sono solo alcuni dei prerequisiti essenziali affinché il bambino sviluppi gradualmente le competenze psicoaffettive per una regolazione delle tensioni interne.

Spitz: 3 mesi sorriso di fronte ad una figura non necessariamente umana, in cui sono distinguibili fronte,       occhi e naso; 6-7 mesi sorriso ad una faccia nota; 8 mesi distingue figure familiari da quelle non familiari, mostrando l’angoscia di fronte all’estraneo.

In generale

  • dal primo mese si notano espressioni facciali che rimandano a gioia, collera, dolore; reazioni alla variazione dell’espressione dell’adulto (contagio emotivo).
  • prima della varbalizzazione compare la capacità di comprendere le emozioni.
  • 2 anni: capacità empatiche; tentativi di modificare sentimenti altrui tramite comportamento appropriato;
  • dai 6 anni: sa mostrare sentimenti opportuni a sec della situazione;
  • 8 anni: prova emozioni complesse (vergogna, senso di colpa, invidia)
  • 10 anni: capisce di poter provare emozioni contrastanti-ambivalenti

Metodi di indagine

Colloquio: le emozioni vengono espresse attraverso la comunicazione verbale, ma soprattutto non verbale (postura, gesti, intonazione della voce, sguardo, contatto oculare, mimica facciale, distanza interpersonale) del soggetto, così come anche dalle fantasie e dai sogni riportati. E’ importante prestar attenzione alla congruenza tra vissuto emotivo e linguaggio verbale. Attraverso l’empatia è possibile esplorare il livello emozionale dell’altro, fino a sentire “come se” si fosse l’altro, in un equilibrio dinamico tra partecipazione e distacco, identificazione e separazione. Il colloquio ben condotto e l’empatia sono utili strumenti che possono aiutare a far tornare in superficie le emozioni negate e a far loro riacquistare una valenza adattiva (le emozioni danno importanti informazioni su come raggiungere il benessere per l’individuo).

Metodo sperimentale:

  • Esperimento di Watson con i neonati: somministrava stimoli al neonato al fine di suscitare una delle 3 emozioni da lui considerate e poi osservava i comportamenti che ne derivavano (per suscitare la rabbia teneva fermo il piccolo). In tale esperimento però fu evidenziato un difetto metodologico: lui creava lo stimolo e lui stesso osservava la risposta, quindi aveva già in mente il comportamento emotivo che si sarebbe aspettato. Esperimenti successivi hanno optato sui filmati delle reazioni emotive dei bambini, con la sola faccia, isolata dal tipo di stimoli e dal contesto. In questo caso non si è più capaci di differenziare le tre classi di risposte emotive ipotizzate da Watson e si osserva una reazione emotiva di eccitazione generale (le emozioni attribuite al neonato sarebbero frutto delle proiezioni degli adulti).
  • Esperimenti di Ekman sull’espressione delle emozioni
  • Esperimenti di Palumbo e Stagno sulle reazioni fisiologiche all’emozione: hanno mostrato ai soggetti alcune diapositive con lo scopo di suscitare emozioni durante le quali misurare le alterazioni dell’organismo (tassi ematici, pressione, respirazione, sudorazione). Il risultato è che vi è un insieme congruente di modificazioni fisiologiche legate alle emozioni negative e modificazioni di altro tipo per le emozioni positive.

 

Metodo psicometrico (di autovalutazione e proiettivi):

Fanno riferimento all’esperienza soggettiva, usando varie tecniche di indagine, tipo questionari, che si basano sull’introspezione e usano il linguaggio.
I limiti sono dati principalmente dal fatto che si possono utilizzare con soggetti collaborativi, con lucidità mentale e non vi è possibilità di controllo intersoggettivo della validità dei risultati. Si tratta comunque di metodi insostituibili in quanto non vi è nessun altra misura che può sostituire il vissuto soggettivo.
Uno dei metodi utilizzati consiste nel presentare liste di termini (aggettivi o forme verbali) che vengono comunemente riferiti all’umore o alle emozioni e i soggetti devono indicare quali termini definiscono meglio il loro stato emotivo, o indicarne l’intensità, la frequenza e il grado di certezza della propria valutazione.

La ACL – Adjective Check List (Gough 1960) è una scala di autovalutazione formata da liste di aggettivi.
A partire da 300 item i soggetti devono indicare quali ritengono adatti a descrivere sé stessi e si calcolano dei punteggi di valutazione su 16 scale che si riferiscono per lo più a tratti costanti della personalità.

Un altro test dello stesso tipo ma più breve è il Multiple Affect Adjective Check List di Zuckerman e Lubin (1965), ha le stesse caratteristiche di somministrazione del precedente ma è costituito da 132 aggettivi.

Una variante alle scale di aggettivi, sono le liste di proposizioni a cui si deve dare un giudizio su una scala Likert. Una scala di questo tipo molto diffusa è la STAI (State-Trait Anxiety Inventory) formata da 40 frasi suddivise, sia nella somministrazione che nella valutazione, tra frasi che si riferiscono a tratti e frasi che si riferiscono a stati; soprattutto quest’ultima parte viene utilizzata negli studi emozionali.

Il test EPI- Emotion Profile Index (Plutchik e Kellerman) è stato costruito per verificare la teoria psico-evolutiva di Plutchik (1962) e di questo test vengono considerate le dimensioni più importanti per discriminare gli stati positivi da quelli negativi.

Test proiettivi come il Rorschach, che permettono al soggetto di proiettare i propri contenuti emotivi interni e di valutare come essi vengono gestiti

 

Misure comportamentali:

Sicuramente vi è un corrispondente comportamentale degli stati emotivi anche all’insaputa o contro il volere di chi li prova. La valutazione degli aspetti comportamentali delle emozioni è però difficoltosa in quanto richiede decisioni di metodo che non possono prescindere da una teoria, anche se questa resta poco definita.
Fra queste misure la voce offre molto materiale utile: Eldred e Price (1957) osservarono una caratterizzazione del tono della voce in corrispondenza di particolari vissuti emotivi registrando per un anno le sedute psicoterapiche di un paziente.
Il metodo principe per identificare dall’esterno gli stati emotivi si basa sull’espressione del viso.
Lo strumento più conosciuto (vedi sopra) è il FACS di Ekman e Friesen (1969).

 

Ambiti applicativi: lo studio delle emozioni può essere utile in

Ambito clinico psicopatologico: nei disturbi psicologici le emozioni hanno quasi sempre un ruolo chiave e la valutazione di come esse sono gestite o canalizzate è un indice diagnostico della gravità della patologia. Ad esempio nei disturbi di personalità Borderline e Antisociale vi è una scarsa capacità di gestire gli impulsi, il che è indice di debolezza dell’Io. Anche l’utilizzo rigido ed esclusivo dei meccanismi di difesa, al fine di gestire le emozioni, è indice di psicopatologia.

Ambito clinico psicodinamico: la terapia individuale e di gruppo mira alla presa di consapevolezza sul proprio stato emotivo e sulle emozioni disturbanti la quotidianità e alla rielaborazione dei vissuti emozionali. In questo tipo di terapia sono molto utili i fenomeni di transfert (il paziente proietta i propri contenuti emotivi nel rapporto con il terapeuta, che verranno rielaborati nel setting) e di controtransfert (la reazione emotiva che può avere il terapeuta di fronte alle problematiche del paziente e al suo transfert).

Ambito clinico comportamentale: sviluppare strategie di controllo emozionale e di autoconsapevolezza emotiva, volta all’eliminazione di comportamenti indesiderati e all’apprendimento di comportamenti adeguati (bullismo o aggressività).  Propone la possibilità del trattamento delle emozioni esagerate e disfunzionali alla base fobie tramite le tecniche di decondizionamento: ad esempio, nella desensibilizzazione sistematica, lo stimolo fobico viene gradualmente presentato al soggetto durante uno stato di rilassamento e venendo progressivamente associato dal soggetto alle tecniche corporee piacevoli, perde le sue connotazioni negative.
Ambito assessment psicodiagnostico: gran parte dell’attenzione è posta sull’affettività (in termini pulsionali e di vissuti emotivi scatenati dalla valutazione cognitiva) e sulla qualità dell’angoscia. E’ importante osservare la congruenza tra il vissuto emotivo che l’individuo mostra e quello che comunica verbalmente per analizzare la gravità della patologia, il contatto con la realtà, il funzionamento dell’Io, il modo in cui la persona si relaziona con se stessa.

Ambito di ricerca in medicina psicosomatica: incapacità nell’elaborazione ed espressione delle emozioni e insorgenza della malattia somatica. Qualora gli stati emotivi non vengano adeguatamente elaborati a livello psicologico, possono alterare le funzioni somatiche fino a determinare vere e proprie lesioni organiche.  Si prevede il lavoro combinato di medici e psicologi, avendo come obiettivo la presa di coscienza, l’elaborazione e l’integrazione da parte del paziente delle proprie emozioni. Spesso i soggetti che tendono a somatizzare presentano alessitimia: la difficoltà del soggetto nell’individuare e verbalizzare i sentimenti; tra gli attuali strumenti utilizzati per misurare tale costrutto, la Toronto Alexithymia Scale (TAS 20) di Taylor risulta uno dei più accreditati.

Applicazione della teoria del codice multiplo nel campo della somatizzazione: I teorici della psicoanalisi hanno coerentemente assunto che esista una relazione inversa fra somatizzazione e capacità di verbalizzare le emozioni, così come fra l’acting out e la verbalizzazione. Secondo la teoria del codice multiplo, il trattamento dei pazienti con somatizzazione può essere facilitato focalizzandosi su qualsiasi entità specifica e discreta disponibile a fungere da simbolo organizzatore all’interno del sistema non verbale. Specifici sintomi somatici o azioni possono quindi giocare un ruolo di simbolizzazione transizionale facilitando la formazione dei simboli e l’integrazione degli schemi all’interno dello stesso sistema non verbale prima che altri oggetti, immagini o parole vengano accettate. Una particolare disabilità fisica o un grave dolore fisico possono costituire la prima entità discreta che consente al sistema di entrare nel dominio simbolico.

 

ARGOMENTO CORRELATO:

EMOZIONE E MEMORIA

Definizione: L’emozione può essere definita come una reazione soggettiva/affettiva intensa, di carattere adattivo, ad una esperienza interna/esterna, piacevole oppure spiacevole, che ha conseguenze sul piano comportamentale, fisiologico, affettivo e cognitivo dell’individuo. È caratterizzata da un’insorgenza acuta e di breve durata determinata da uno stimolo esterno o interno con peculiari reazioni somatiche, vegetative e psichiche. La memoria  rappresenta una delle principali funzioni cognitive umane e consiste nella capacità del cervello di immagazzinare e conservare le informazioni nel tempo per poterle poi recuperare o riconoscere. Il processo mnemonico perché avvenga deve passare attraverso tre momenti: (FASE DELLA CODIFICA)l’informazione che arriva dall’esterno viene codificata, ovvero immessa nel sistema, (FASE DELL’IMMAGAZZINAMENTO) per poi essere immagazzinata, ovvero conservata nel corso del tempo e successivamente (FASE DEL RECUPERO) avviene il recupero, che è il modo in cui l’informazione viene estratta dal sistema. Il rapporto tra emozione e memoria ha assunto una grande importanza in seguito al fiorire della ricerca ecologica sul ricordo degli eventi autobiografici emotivamente intensi e traumatici, in particolare dalla teoria emerge una connessione tra il costrutto dell’emozione e quello del ricordo.

Nesso/contesto: Un contesto entro cui il tema della memoria e delle emozioni è calzante è quello scolastico, poiché si è visto che le dimensioni emotive influiscono sulle prestazioni cognitive e mnemoniche.

Teoria: In questo ambito emergono gli studi di Bower, che nel suo modello teorico “Associative network model” sostiene che l’emozione può influenzare il ricordo. Il modello assume che le emozioni costituiscono i nodi centrali di una rete associativa, connessi alle idee, agli eventi, all’attività neurovegetativa e a pattern specifici di reazioni muscolari ed espressive. Quando vengono appresi nuovi stimoli, essi vengono associati ai nodi attivi in quel momento. Conseguentemente, gli stimoli appresi in un particolare stato affettivo, sono collegati al corrispettivo nodo affettivo. Quando inseguito viene stimolato un nodo emotivo, l’attivazione si diffonde lungo le diverse diramazioni, accrescendo l’attivazione di tutti gli altri nodi ad esso collegati. L’attivazione di un nodo entro una certa soglia determina la consapevolezza del materiale che vi è rappresentato. In un esperimento Bower indusse in alcuni soggetti uno stato di trance ipnotica per far si che raggiungessero uno stato d’animo gioioso o triste. Una volta raggiunto lo stato d’animo desiderato, i soggetti venivano sottoposti ad una prova di apprendimento di una lista di parole, dopo di che venivano portati ad uno stato di rilassamento e venivano fatti uscire dalla trance. La rievocazione veniva poi effettuata a distanza variabile di tempo, sotto ipnosi, sia in uno stato affermativo che divergente rispetto a quello esperito nella fase di apprendimento. La rievocazione di uno stato d’animo triste di una lista di parole apprese nello stesso stato d’animo, arriva all’80 % di materiale, mentre si arresta al 45% se il materiale era stato appreso in uno stato d’animo diverso. Da ciò si deduce che la memoria viene facilitata nel caso di una concordanza tra lo stato d’animo nella fase di apprendimento e in quella di rievocazione. Mentre esiste un’inibizione di memoria nel caso di una discordanza di stati d’animo nella fase di apprendimento e in quella di rievocazione. Bower ritiene quindi che l’emozione può influenzare la memoria attraverso due effetti: Stato di dipendenza (accoppiamento dell’emozione al momento dell’apprendimento e al momento del recupero) e congruenza (corrispondenza tra la valenza affettiva dello stimolo al momento in cui ha agito lo stato affettivo al momento del recupero). Considerare l’emozione come unità attiva della memoria consente di comprendere anche una serie eterogenea di dati clinici, come la difficoltà a ricordare i sogni a causa della differente condizione emotiva fra stato di veglia e stato di sonno. Inoltre nel bambino, come nell’adulto, la dimensione emotiva svolge un ruolo imprescindibile ai fini dell’apprendimento, tanto che la decisione di trasferire le esperienze dal compartimento a breve termine a quello a lungo termine viene presa molto spesso su base emozionale.

Metodi d’indagine: Per quanto riguarda i metodi d’indagine, oltre al metodo sperimentale utilizzato da Bower, vi sono diverse batterie di test che misurano, tra gli altri fattori, anche le capacità mnestiche, come la WAIS, il Reattivo delle figure complesse di Rey, il Test di Memoria comportamentale di Rivermead, utile per evidenziare i deficit di memoria nel quotidiano. Il colloquio e le interviste, invece, permettono di indagare il vissuto emotivo del  soggetto e in che modo questo è collegato ai vari ricordi; vi è inoltre il Questionario meta cognitivo sul metodo di studio di Cornoldi che indaga la componente cognitiva, motivazionale ed emotiva dell’apprendimento.

Risvolti applicativi: Gli ambiti applicativi sul tema della memoria ed emozione sono svariati. Alla luce delle precedenti considerazioni sulla facilitazione del ricordo a seguito di particolari stati emotivi sono importanti le tecniche mnemoniche finalizzate a favorire un uso più efficiente della funzione mnestica. A livello clinico, invece memoria ed emozioni sono rilevanti nell’ambito dei disturbi psicologici. I disturbi della memoria si trovano spesso in pazienti psicotici gravi, dove il disturbo legato soprattutto alla memoria a breve termine, è particolarmente connesso a difficoltà di attenzione verso il mondo esterno. Per quel che riguarda le emozioni, esse ricoprono un ruolo chiave nel campo della psicopatologia: esistono infatti forme di schizofrenia in cui l’individuo mostra riduzione o una completa assenza di emotività. È anche importante osservare la congruenza tra il vissuto emotivo che l’individuo mostra e quello che comunica verbalmente. In ambito scolastico il tema della memoria e emozioni è particolarmente pregnante, infatti si è visto che nel bambino la dimensione emotiva svolge un ruolo imprescindibile ai fini dell’apprendimento tanto che la decisione di trasferire le esperienze dal compartimento della memoria a breve termine a quello a lungo termine viene presa molto spesso su base emozionale. Il bambino può apprendere solo se si trova in un contesto rassicurante e sereno che consentirà l’attivazione di efficaci meccanismi di ritenzione mnestica e favorirà l’associazione positiva tra il materiale da apprendere e il contesto di apprendimento. Le emozioni positive sono determinanti nel desiderio di apprendere, e giocano un ruolo primario soprattutto nella seconda infanzia quando si innescano meccanismi di memoria cosciente e volontaria.

 

 

L’orientamento spaziale. Uomini e donne sono diversi?

Gli uomini hanno una capacità di orientamento nello spazio superiore a quella femminile? “Mia moglie non ha alcun senso dell’orientamento, per questo guido sempre io…” Questo è quello che le dicerie comuni affermano da tempo ma, prima di svelare se il mito corrisponde a verità, facciamo un passo indietro: cosa vuol dire orientarsi nello spazio?

Gli esseri umani hanno la facoltà di imparare e ricordare le informazioni sulle relazioni spaziali nel mondo ai fini dell’adattamento. Immaginiamo quanto fosse importante sviluppare questa capacità quando non esistevano strade o mappe che ci aiutassero a tornare a casa. Gli individui percepiscono informazioni direttamente dall’ambiente e si orientano in esso, aggiornando continuamente il loro rapporto con gli oggetti che li circondano mentre si muovono nello spazio, integrando le informazioni da diverse prospettive per fornire un senso di spazio unificato. L’abilità degli umani ad apprendere e manipolare l’informazione spaziale ha ricevuto negli anni sempre più attenzione e oggi sappiamo che esistono due modi in cui gli esseri umani acquisiscono e usano l’informazione spaziale: attraverso un apprendimento primario e uno secondario. L’apprendimento primario (cioè diretto) si ha quando l’individuo interagisce direttamente con l’ambiente circostante, creando un senso di spazio vicino, rispetto al quale può agire direttamente.

L’apprendimento secondario (cioè indiretto) si riferisce a tutte le informazioni su cui l’individuo non  può agire direttamente. In genere riguarda i concetti spaziali più astratti, quali l’uso di mappe e figure. Esistono importanti differenze nel modo in cui l’informazione spaziale è rappresentata e usata e queste differenze dipendono da come l’informazione stessa viene appresa. Ciò può avvenire in modo simultaneo (osservando mappe o comunque immagini) o può essere costruita nel corso di successive interazioni con l’ambiente (come nella navigazione). Le diverse prospettive che la persona può assumere durante l’apprendimento quando naviga realmente nell’ambiente rendono più semplice la rievocazione nella memoria di quel percorso.

Come dicevamo precedentemente, è opinione comune che tra i fattori interni coinvolti nella rappresentazione dello spazio, vi sono anche le differenze di genere. Secondo Lawton (1996) i maschi sono più fiduciosi delle femmine nelle loro abilità di senso dell’orientamento. Allo stesso modo, alcuni esperimenti rivelano che le femmine sono più ansiose dei maschi quando navigano.

L’ “ansietà spaziale” o ”la paura di perdersi” può ridurre la capacità di concentrarsi sui suggerimenti essenziali per mantenere l’orientamento geografico. Sempre recentemente è stato dimostrato che differenze di genere possono essere presenti nella formazione di una mappa cognitiva e che tali differenze sarebbero legate alla difficoltà delle donne nei compiti di rotazione mentale. Tali differenze si manifestano, però, solo ed esclusivamente nell’ambito delle immagini mentali e per la navigazione sono specificamente limitate alla fase di apprendimento di un percorso, mentre sembrano scomparire nel momento in cui la mappa cognitiva viene memorizzata. Quindi le diversità tra i sessi nel rievocare un percorso riflettono l’uso di diverse strategie di apprendimento, piuttosto che di diverse capacità.

Per rispondere alla domanda iniziale se gli uomini siano più capaci delle donne nei compiti di orientamento, si può rispondere che i primi utilizzano strategie di apprendimento più semplici e quindi velocemente riproducibili, ma una volta che entrambi hanno memorizzato un determinato percorso non si riscontrano differenze di genere. Per par condicio va detto che questa abilità di apprendimento più veloce sperimentata nel genere maschile riguarda solo i compiti spaziali che coinvolgono l’emisfero cerebrale destro. Viceversa la donna ha la capacità di apprendere l’uso del linguaggio più velocemente rispetto all’uomo e questa è invece prerogativa dell’emisfero cerebrale sinistro. Sarà questa l’ennesima dimostrazione del mito delle due metà descritto da Platone?

Per approfondire:

Lawton C. A., (1994). Gender differences in way-findings strategies: relationship to spatial ability and spatial anxiety. Sex Roles, 30(11/ 12), 765–779.

Lawton C. A., (1996). Strategies for indoor way-finding:the role of orientation. Journal of Environmental Psychology, 16, 137–145.

Villani, D. (2001) L’orientamento in alcuni paesi europei. Roma: Monolite Ed.